La fotografia scattata al 30 giugno 2019 ha restituito l’immagine di un’Italia dagli oltre 1000 patti tangibili e da altre innumerevoli esperienze che, seppur non ufficialmente reperibili, si attivano silentemente sul territorio nazionale

Solo 5 anni fa l’Italia dei Patti era poco più che un’aspirazione. Non esisteva, né si conosceva; eppure c’era un posto in cui era stata già vista. Nella mente dei suoi ideatori l’Italia dei Patti è sempre stata possibile perché, prima ancora che si avverasse, in quel sogno si era creduto.
Oggi, che da nord a sud c’è un Paese che stipula patti di collaborazione, quello che si ha di fronte non è un evento di carattere estemporaneo, né più oramai una pratica in stato emergente.
La sistematicità e la ripetibilità dei casi in cui società civile e istituzioni scelgono di collaborare secondo il modello dell’amministrazione condivisa descrivono un fenomeno sempre più stabilmente innestato nelle maglie del tessuto sociale e per questo significativamente rappresentativo di un cambiamento storico degno di essere scientificamente osservato.
Labsus, in qualità di genitore e madre del progetto, ne segue la genesi e l’evoluzione, monitorando i suoi effetti e il relativo impatto sulla società civile e istituzionale.

I numeri. Nemici di chi non li fa parlare, amici di chi li lascia raccontare

E’ una delle operazioni più complesse da imparare, sin da bambini. Contare e misurare sembrerebbe essere un’abilità di pochi e di quei rari eletti nati con una naturale propensione alle scienze matematiche e statistiche. D’altra parte, il concetto di misura nasce proprio per studiare fenomeni naturali, quantificabili con indici precisi e indicatori specifici.
Ma poi arriva l’evoluzione della scienza, che individua il valore di fenomeni sociali e l’importanza di misurarli perché anche ad essi si possa riconoscere un’esistenza tangibile. Così, si è iniziato a misurare la cultura, il benessere, la felicità, la creatività o ancora l’innovazione e la sostenibilità e a comprendere quindi molti altri elementi che compongono una società.
L’indagine svolta da Labsus nel 2019 ha tentato di fare proprio questo. Assegnando ai numeri il compito di studiare il fenomeno sociale dei patti di collaborazione, si è provato a raccontare i molti significati che intrinsecamente caratterizzano il paradigma dell’amministrazione condivisa.
Partendo dall’analisi di un campione selezionato di patti di collaborazione, e quantificandone gli elementi essenziali, la ricerca ha così ricostruito il loro patrimonio genetico, il materiale ereditario che li costituisce, la linfa soggettiva che li alimenta, il corredo di relazioni che li tiene in vita e i fattori spontanei che da lì si generano.
Il risultato è stato la riscoperta di uno strumento dalla forte valenza creativa e dalla capacità di essere un incubatore inedito di innovazione sociale, culturale e anche amministrativa.

La mappatura geografica dei patti

La ricerca ha interessato un campione di 830 patti di collaborazione che, al primo semestre dell’anno, sono risultati transita(n)ti nel 2019; ossia, che siano (stati) attivati, attivi, e/o conclusi entro la prima metà dell’anno, e di cui sia stato possibile rinvenire il testo di stipula. L’indagine ha interessato, in totale, 14 Regioni e 44 Comuni distribuiti secondo una presenza eterogenea lungo il territorio nazionale, seppur con una concentrazione prevalente nell’Italia settentrionale.
Il 54% dei Comuni coinvolti nell’analisi si colloca infatti a Nord, rilevando un lieve spostamento geografico rispetto ai dati raccolti nel 2017, quando il ruolo particolarmente attivo dei Comuni toscani poneva il Centro Italia – e in particolare la Regione Toscana – in vetta alle statistiche di attivismo sui patti per l’amministrazione condivisa.
Al primo semestre 2019 le Regioni con il maggior numero di Comuni impegnati nella stipula di patti sono l’Emilia Romagna, seguita in egual misura da Lombardia e Toscana e, subito dopo, dal Piemonte.
La concentrazione a Nord non riguarda soltanto il numero dei Comuni coinvolti, ma si conferma anche con riferimento alla quantità di patti stipulati, in corso o conclusi entro il primo semestre 2019. Degli 830 patti analizzati, ben il 69% sono, infatti, ad opera di Comuni settentrionali. Tra questi, a guadagnarsi il primato per il maggior numero di patti stipulati nella finestra temporale considerata per l’indagine è il comune di Genova che, da solo, ricopre il 28% dei patti esaminati. Seguono, poi, Bologna e Pistoia.
È interessante notare come, a distanza di due anni dall’ultima rilevazione, la distribuzione dei patti sul territorio risulta in parte modificata sia nei Comuni interessati, che nella varietà delle realtà territoriali che concorrono a fare dell’Italia un “Paese di patti di collaborazione”.
Nel Rapporto Labsus 2017 segnalavamo che, rispetto al campione allora analizzato, Trento e Bologna registravano, da sole, quasi il 50% dei patti considerati. Secondo lo studio odierno, invece, il 53% dei patti rinvenuti vede, da una parte, confermata la presenza del Comune di Bologna – che si riafferma quindi come un punto riferimento fondamentale del fenomeno – ma, al posto di Trento, sono Genova e Pistoia ad attestarsi su un grado di dinamismo più elevato.

…e il dato demografico

Passando dal dato geografico a quello demografico è possibile verificare se esiste un’eventuale correlazione tra l’attività dei patti e l’ampiezza della popolazione del Comune coinvolto. Le elaborazioni della ricerca mostrano che il 52% dei Comuni stipulanti patti di collaborazione hanno una popolazione superiore ai 50.000 abitanti, che può raggiungere anche un numero di circa 500.000 (Genova), o addirittura di oltre un milione (Milano).
Il rapporto tra patti e consistenza demografica diventa ancora più evidente se si considera che ben il 79% dei patti analizzati sono stati stipulati in Comuni dalle grandi dimensioni, che solo l’1% di essi riguarda Comunità territoriali di bassissima estensione demografica (tra i 2000 e i 5000 abitanti); mentre il restante 20% si distribuisce tra Comuni con numerosità medio-bassa e quelli con numerosità medio-alta.
I dati raffigurati non fanno altro che confermare una tendenza già rintracciata nello studio del 2017, rilevando, al contempo, un’evidente accentuazione del fenomeno. Dal 2017 al 2019, la percentuale di patti stipulati da parte dei Comuni più popolosi risulta infatti aumentata del 15%.
Questo trend crescente sembrerebbe quasi voler confermare l’importanza dei patti concepiti come strumento agile, flessibile e per questo particolarmente efficace proprio nelle realtà più grandi e complesse, caratterizzate da una forte esigenza di semplificazione e dove, senza una cornice giuridica riconosciuta, relazioni e iniziative di questo tipo rischierebbero forse di andare disperse o non valorizzate.

Le parti in gioco – Il versante
 dei cittadini

Se la flessibilità è uno degli elementi distintivi dei patti di collaborazione, un altro tratto che li contraddistingue è una spiccata forza aggregatrice. Secondo l’analisi 2019, nella stipula e nelle attività dei patti resta confermata la partecipazione attiva sia di cittadini singoli, sia associati.
Eppure, rispetto a qualche anno fa, il panorama dei soggetti che si affacciano sul terreno dell’amministrazione condivisa appare oggi molto più ampio e variegato. Sebbene le realtà associative costituiscano ancora il soggetto prevalente nelle esperienze di collaborazione, rispetto al 2017 la loro presenza risulta oggi ridotta del 20% in favore di una pluralità di soggetti, che, fino a qualche anno fa, non erano – o non erano ancora – significativamente contemplati. Ben il 19% dei casi analizzati vede figurare, tra i soggetti che stipulano patti, aggregazioni di tipo informale (comitati spontanei, gruppi non costituiti in associazioni). Tra questi, degno di nota è – in particolare – il caso dei condomìni che, nel campione analizzato, hanno costituito un interlocutore nuovo e ad ora inesplorato all’interno del paradigma dell’amministrazione condivisa. Così, i condomini diventano protagonisti di interventi di cura e rigenerazione di aree ad essi circostanti. Si sovverte la concezione della protezione degli spazi vicini e si diffonde una diversa sintomatologia, che ci piace definire come la nuova “Sindrome YMBY – Yes, in my Back Yard!” della società. Il cortile di casa, insomma, resta sì uno spazio da proteggere, ma attraverso azioni condivise che si muovono nell’interesse generale.
Aumenta poi all’11% la tendenza anche delle imprese – sia di natura profit, sia sociale – a prendere parte a processi di collaborazione, pur presentando, questi – come noto – caratteristiche molto diverse dalle attività economiche proprie delle realtà imprenditoriali. Completano il ventaglio soggettivo dei patti figure professionali altamente specializzate, che volontariamente mettono la loro expertise a servizio di pratiche di collaborazione per i beni comuni; le parrocchie; le fondazioni che, anche se in misura limitata, rientrano anch’esse tra le parti coinvolte nei patti; e ancora, i dirigenti scolastici, che confermano il ruolo centrale delle scuole nella realtà della partecipazione attiva.
In ben 71 patti (9%) l’atto di stipula è inoltre il risultato di una firma concertata tra più soggetti della società, che siano singoli, aggregati, associati, professionisti o costituiti sotto forma di impresa. In questi casi, il valore aggregativo del patto di collaborazione risalta in maniera ancora più evidente.

Le parti in gioco – Il versante dell’Amministrazione

Sul versante dei soggetti dal lato dell’amministrazione, invece, la situazione resta pressoché coerente con quella fotografata al 2017.
Il processo di approvazione dei patti coinvolge nel 76% dei casi dirigenti della pubblica amministrazione. La restante parte dei patti analizzati prevede per il 12% un passaggio politico con approvazione dirigenziale e, per l’altro 12%, personale esclusivamente politico.
Nel 2019, in sostanza, i patti di collaborazione si confermano – pur nella loro valenza altamente politica – come uno strumento in grado di penetrare nell’operatività tecnica dell’amministrazione, diventando sempre più una prassi consolidata dell’apparato burocratico del nostro Paese. 

Beni coinvolti, aree di intervento e attività

Ma quali sono i beni che costituiscono tipicamente l’oggetto dei patti? 
Il primo dato che emerge dall’analisi mette in luce che, non di rado, i patti non riguardano un solo bene comune, ma che, talvolta, essi arrivano a coinvolgere contemporaneamente due beni (in 64 patti) o, addirittura, tre (in 10 patti).
Questo denota un’accresciuta complessità e maturità dello strumento, che sempre più riesce a far fronte a una domanda di partecipazione gradualmente più sfaccettata e multiforme. Non a caso, in molti dei patti che hanno ad oggetto più beni comuni, il perseguimento dell’interesse generale avviene affiancando alla tutela di un bene materiale, quella di un bene di natura immateriale. Rispetto al 2017, si riafferma l’attitudine alla cura di giardini, aiuole e/o parchi, intesi quali beni comuni prevalentemente oggetto di patti di collaborazione (46%); altrettanto elevata rimane l’attenzione verso beni quali piazze e vie delle città (17%) che, insieme agli spazi verdi, rimangono i luoghi di aggregazione prescelti per investire tempo, risorse, energie e volontà di creare reti virtuose nell’interesse generale.
Ma il mondo dei patti è vasto e spesso sorprendente. La creatività che intorno ad essi si sprigiona è tale che l’individuazione dei beni comuni – che avviene spesso ad opera della società civile – arriva a coinvolgere anche scuole (7%), edifici e superfici di vario genere (5%), ma anche biblioteche e altri spazi culturali di differente natura (2%); senza trascurare i casi che – anche se più rari – fanno di una parrocchia, o perfino di un’area cimiteriale, un luogo di cui prendersi cura (beni ricompresi nella voce “altro”).
In linea con la sensibilità verso il verde come bene comune sono anche le aree di intervento in cui prevalentemente risultano impegnati gli 830 patti esaminati. Dall’analisi della ricorrenza complessiva delle aree di intervento, è emerso che nel 68% dei casi, ad essere coinvolti sono gli ambiti dell’ambiente e del verde urbano e arredo urbano.
In continuità con il trend di due anni fa si mantiene pressoché costante la ricorrenza di aree di intervento quali, per esempio, la cultura (8%), l’inclusione sociale (6%), la progettazione e la co-progettazione (5%) o anche la scuola (5%) e i beni culturali (3%).
Un punto degno di rilievo è che le differenti aree di intervento finiscono spesso per sovrapporsi e integrarsi tra loro. Così, un’azione di manutenzione di aree verdi della città si completa con un intervento di inclusione sociale quando nelle attività di cura sono coinvolte categorie fragili quali, ad esempio, rifugiati richiedenti protezione internazionale (Brescia) o altri casi in cui l’azione di promozione della cultura viene affiancata da interventi di progettazione tout court (Cortona).
La semplicità connaturata al patto come strumento di partecipazione arriva per contrappasso a confrontarsi spesso con la complessità degli elementi che lo costituiscono. Intorno al patto si concentrano – come fin qui si è visto – soggetti, beni, aree di intervento; ma questo non è tutto se solo si considera che ben 337 (41%) dei patti analizzati prevedono la realizzazione di almeno una “ulteriore attività”, funzionale alla realizzazione dell’iniziativa. Ma le attività aggiuntive contemplate nei patti possono essere contemporaneamente anche due, tre, e in casi più articolati, finanche sei.
Queste possono consistere in servizi di supporto alle attività lavorative, in laboratori e seminari, in attività ricreative e culturali; in percorsi di sviluppo professionale, in esperienze di co-working o in altro ancora.
L’azione creativa che si sviluppa intorno a un patto è in continua evoluzione e fa di questo strumento un laboratorio di idee e innovazione sociale. 

Durata
 e misure 
di sostegno

Poco meno della metà dei patti analizzati (46%) riguardano interventi dalla durata massima di un anno. Rispetto ai dati raccolti nel 2017, il quadro attuale registra poi un lieve aumento (+3%) dei patti che si svolgono in un arco temporale che va da oltre 1 anno ad un periodo superiore ai 3. In leggera diminuzione sono invece gli interventi occasionali (- 3%). L’allungamento della durata media dei patti 2019 avanza tuttavia con un andamento graduale, in coerenza con un aumento altrettanto progressivo della complessità dei patti.
La vera sfida dello strumento diventa quindi quella di saper essere una risposta flessibile e agile ad istanze sociali rapide e sempre mutevoli; ma, contemporaneamente, un baluardo saldo e sostenibile di fronte a esperienze per la cui realizzazione occorrono processi di trasformazione o di azione più profondi e, per questo, di più ampia durata.
Vi è infine un altro elemento distintivo dei patti, che incide sulla loro possibilità di attuazione e ne determina la buona riuscita.
L’analisi 2019 è andata a verificare quali sono le forme di sostegno che l’amministrazione mette a disposizione dei cittadini in ciascuna occasione di collaborazione. Dal quadro di elaborazione complessiva si evince che l’amministrazione prevede risorse da destinare ai patti in quasi la totalità dei casi (96%).
Questo, da un lato, indica che la previsione di forme di sostegno si sta affermando come prassi ormai consolidata; dall’altro, aiuta anche ad affermare che il soggetto pubblico riesce sempre meglio a interpretare il significato autentico del modello di amministrazione condivisa.
Le forme di sostegno erogate dall’amministrazione, non solo possono essere di vario tipo (fiscali, materiali, di semplificazione, di promozione o assicurative) ma – come mostrano i numeri dell’indagine – nel 73% dei patti queste vengono erogate in forma combinata.
C’è poi un elemento che segna una novità rispetto al panorama tracciato nel 2017. Fino a due anni fa, tra le misure di sostegno dell’amministrazione, non erano contemplate in alcun modo le coperture assicurative. Guardando, invece, all’analisi odierna, si scorge non solo che nel 4% dei casi questa misura viene erogata in via esclusiva, ma anche che, molto spesso, essa viene rilasciata in combinazione con altre forme di sostegno. Quello che fino a due anni fa era quindi un auspicio, nel 2019 diventa una pratica in progressiva affermazione.
A misura del supporto dato dalle amministrazioni resta significativa la percentuale di patti in cui i Comuni assicurano la promozione delle iniziative e la loro pubblicità (15%). Indice di un crescente impegno in questa direzione sono le pagine web di alcuni Comuni. Sono sempre più numerosi i casi in cui i siti istituzionali ospitano le pratiche di amministrazione condivisa in sezioni dedicate. Quanto più curata e strutturata appare la pagina, tanto più si è in presenza di un processo di adozione del modello corretto, trasparente e che ne agevola la sua buona applicazione (come Ferrara, Genova, Bologna, Verona).

Sei ancora sicuro che non ti piacciono i numeri?

E’ dunque questa la forza dei numeri. Quella di catturare il fascino di fenomeni sociali che meritano di essere monitorati, sostenuti, ma soprattutto studiati con evidenza rigorosa e scientifica.
Labsus, con il suo Rapporto 2019, ha tentato di fare proprio questo: dimostrare che l’amministrazione condivisa è ormai un progresso in atto e inarrestabile e, in quanto tale, va presto sul serio.

Scarica gratuitamente il Rapporto Labsus 2019