I luoghi tipici del vivere insieme, quali piazze, strade, giardini, teatri, nel giro di pochissimi giorni hanno cambiato radicalmente aspetto: il coronavirus ci ha allontanato da quei luoghi d’incontro ormai diventati “pericolosi”. Molte sono le iniziative sorte, in questo particolare momento di lontananza forzata, per farci sentire comunque vicini, sia pure rispettando le distanze di sicurezza: “distanti, ma uniti”, come dice uno slogan!
Noi tutti soffriamo di questa necessità di starsene chiusi a casa. In molti non riescono ad accettarlo, a crederci. E quando l’isolamento lascia spazio alla solitudine soprattutto per chi già ne soffre, rende talora insopportabile questa situazione. Basti pensare, per esempio, alle rivolte dei carcerati, agli anziani soli e ai malati lontani dai loro parenti chiusi nelle residenze sanitarie assistenziali, ai bambini e adolescenti più a rischio di abbandono scolastico, alle famiglie più povere che devono fronteggiare le nuove emergenze con ben poche risorse, a chi perde il lavoro o non può più svolgerlo diventando povero improvvisamente, a quelle donne costrette a star chiuse in casa con uomini violenti. Isolamento significa, soprattutto per alcune persone, avere un carico insopportabile di problemi da gestire. E’ come in guerra: si è spesso soli di fronte alla morte e al dolore, ma c’è chi è più solo degli altri. E questo è certamente il contrario della salute, che non può essere intesa solo come benessere fisico, assenza di malattia, ma anche come benessere psicologico e sociale. Che fare, dunque?
Per combattere insieme questa guerra al coronavirus è necessaria un’alleanza, una collaborazione tra cittadini e istituzioni tutte, oltre che tra le diverse forze politiche. Ma se vogliamo che la collaborazione funzioni davvero e che magari funzioni non solo per pochi giorni, ma anche quando il peso dell’isolamento crescerà ancor più per tutti, è necessario sviluppare comportamenti responsabili, anche aiutando le persone ad esserlo, concretamente. E soprattutto quelle più in difficoltà in questo momento e che subiscono il peso maggiore dell’isolamento. Come?
E’ proprio tra i territori più martoriati dal coronavirus che oggi vediamo iniziative che si stanno muovendo, offrendo alcune risposte in tal senso: i cittadini attivi si stanno organizzando con proprie iniziative che costituiscono esempi pratici di sussidiarietà e che spesso traggono origine proprio da esperienze consolidate di condivisione di beni comuni. Noi di Labsus ne siamo testimoni. E vorremmo oggi parlarne portando ad esempio alcuni casi “Emblematici” presenti sui territori della Lombardia e del Piemonte.
Gli Emblematici
Esistono sin dal 2016 alcuni progetti selezionati da Fondazione Cariplo, con il supporto delle fondazioni di comunità, che hanno come focus la cura e la valorizzazione di Beni Comuni abbandonati o in stato di degrado. Questi progetti sono chiamati “Emblematici”, per indicare il valore di “guida” che si attribuisce a questi progetti: il loro valore sta nell’indicare e sperimentare nuovi “paradigmi” di intervento sui beni comuni, ritenendo che tali progetti possano essere particolarmente significativi ed efficaci per le realtà territoriali considerate, ma anche per altre possibili aree del nostro Paese in cui riproporli.
E’ questo uno spazio di esperienze concrete che ha costituito in questi anni anche la base per una stretta collaborazione tra Labsus, alcune Fondazioni di comunità e Fondazione Cariplo. L’intento comune è stato quello di sperimentare, studiare, diffondere, riproporre i risultati altrove, ibridandoli con le specificità di ogni realtà locale.
Emblematici: perché?
A distanza di circa quattro anni dall’avvio dei primi progetti, possiamo affermare oggi che gli Emblematici (cosiddetti “minori”, distinti da quelli provinciali “maggiori”) sono realmente tali, essenzialmente per tre motivi.
1) Perché sono progetti nati dai territori che si basano anche su un sostegno offerto dalle Fondazioni per favorire le sperimentazioni innovative di cura dei beni comuni. Un progetto diviene “emblematico” innanzitutto perché i protagonisti di queste esperienze non sono lasciati soli nelle loro attività di cura dei beni comuni, ma sostenuti (“favoriti”, come dovrebbe essere in base all’art. 118, ultimo comma della nostra Costituzione) offrendo loro in primis risorse e competenze: si crea una sorta di “laboratorio protetto” in cui i protagonisti possono provare a sviluppare percorsi territoriali diversi dai consueti, con supporti necessari. Questo non è affatto scontato! Innovare ha dei costi: quelli della sperimentazione. Le cose possono andar bene oppure no, ma lo si vede soprattutto dopo, facendole, abbandonando strade note per altre incerte. Ricerca e sperimentazione costano quindi energie, impegno, nuove risorse umane ed anche economiche. Per queste ragioni le innovazioni sono spesso lasciate ad una sorta di selezione “darwiniana” di ciò che nasce spontaneamente sui territori e poi mostra di funzionare, nonostante le avversità. E lo Stato innovatore è un ruolo difficile da affermare anche nella quotidianità degli enti locali. In questo ambito invece sta un ruolo importante delle Fondazioni bancarie e di Fondazione Cariplo nello specifico: sostenere esperienze particolarmente innovative favorendo la sperimentazione e facendole divenire proposte di riferimento per tutti i territori, promuovendo la collaborazione con le istituzioni locali e sostenendo le amministrazioni condivise.
2) Sperimentare sì, ma con “metodo” rigoroso! Per essere realmente “emblematici” è stato necessario anche adottare un metodo “scientifico” di sperimentazione: quindi i progetti “emblematici” (minori) sono stati accompagnati nel loro percorso attuativo, organizzando per ciascuno da 5 a 7 momenti comuni laboratoriali scadenzati negli anni di durata dei bandi, per favorire il raffronto tra i diversi protagonisti. I rappresentanti di ogni progetto hanno inoltre condiviso passo dopo passo, negli anni, attraverso incontri costanti, anche le rilevazioni sul campo con metodologie che andavano sperimentando, in ogni fase progettuale con indicatori da essi stessi elaborati. In sostanza, si è trattato quindi di sperimentare anche un metodo “scientifico” e condiviso che permettesse di osservare e valutare, insieme. E Labsus ha svolto questo ruolo anche elaborando materiali di supporto, offrendo consulenza e formazione, favorendo i contatti e le relazioni tra i protagonisti dei progetti. L’attenzione in particolare è stata rivolta al come si coinvolge, si comunica, si ingaggia, come si lavora in rete, come si co-progetta e si fa anche amministrazione condivisa, come si fa monitoraggio e valutazione.
3) Tra i risultati ottenuti che rendono questi progetti realmente “emblematici”, si è rilevato come creare ampie “connessioni locali” attraverso i beni comuni faccia la differenza! I beni comuni permettono infatti, per loro stessa definizione, di connettere numerosi soggetti di natura diversa: organizzazioni ed enti locali, cittadini singoli, privati ed imprese, solitamente non abituati a collaborare e coordinarsi. Le comunità ne risultano rafforzate perché le diverse componenti tra loro “in rete” dialogano e si coordinano, sviluppando proprie capacità propositive. Ne è una conferma il fatto che quasi tutti i referenti degli Emblematici ritengono che i progetti siano oggi sostenibili oltre il loro termine, in quanto sono riusciti a catalizzare nuove risorse economiche e sociali, consolidando i rapporti con le istituzioni locali. E di questo raccoglieremo i dati negli anni prossimi.
Ma è soprattutto questo che si è verificato per alcuni di loro in periodi di emergenze sociali come quella di oggi da coronavirus. Questo modo di operare quindi è andato oltre il progetto singolo, sviluppando capacità/capacitazioni dei diversi territori di fare rete e reagire autorganizzandosi, acquisendo un’inedita “velocità di risposta”. In concreto, questi Emblematici sembrano essere l’espressione di territori tutt’altro che “fragili”, anzi, più forti e pronti ad affrontare meglio anche le difficoltà di oggi. E ciò è verificabile sia con Emblematici di piccoli Comuni di montagna sia su territori urbani di varia densità abitativa.
Alcuni esempi concreti
Si sostengono oggi comportamenti responsabili da parte dei cittadini anche organizzando presidi, limitando o evitando arrivi da fuori del Comune (progetto “Riapriamo la Grassi”, Quarna); si organizza in pochi giorni il doposcuola online per alunni e studenti, lezioni a distanza di lingua per stranieri, telefonate quotidiane e distribuzione di tablet per collegarsi con gli anziani a casa soli o in RSA, si effettua la consegna delle spese e farmaci a domicilio, si facilitano i rapporti tra carcerati e loro familiari, si preparano pasti da asporto per i senza dimora (progetto “Quartiere amico”, Novara); si presidiano quei parchi e beni comuni all’aperto che in questa fase tendono a tornare frequentati da spacciatori (progetto “Villa Dho Casa Aperta”, Seveso); si organizzano video-interviste su temi di attualità coinvolgendo i cittadini (“Sbaragliate”, Monza), giochi di ruolo per giovani e adolescenti al computer, si creano tutorial e seminari on line su temi culturali (progetto “Valorizziamoli”, Comuni di Bellusco, Burago, Osnago, Usmate, Vimercate); si attivano piattaforme on line dedicate alla lettura di storie per bambini, o in cui si si propongono esercizi fisici a casa (“Dal nulla alla Bolla“, Bollate, Milano).
Questi sono solo alcuni degli esempi. Queste attività costituiscono comunque indicatori della capacità di reazione acquisita dalle stesse comunità locali, sviluppando risposte di solidarietà in rete in questo momento così difficile! Tanto che la stessa Fondazione Cariplo – come afferma Andrea Trisoglio, Coordinatore progetto Fondazioni di comunità – ha “stanziato risorse per sostenere innanzitutto iniziative emergenziali che potenzino l’attivazione di servizi di prossimità a supporto della domiciliarità ‘forzata’ di persone fragili”. E tra queste certamente rientreranno alcune esperienze in corso degli Emblematici.
La capacità e la forza di autorganizzarsi in rete
Il ruolo delle Fondazioni di origine bancaria sembra essere di grande importanza per sostenere, “con metodo rigoroso e condiviso”, l’innovazione sociale delle comunità locali, dandone prova anche in questo particolare frangente.
I progetti centrati sulla cura, gestione e rigenerazione condivisa dei beni comuni sono stati catalizzatori delle energie in rete di cittadini, terzo settore ed enti locali. E se oggi le comunità locali degli Emblematici reagiscono offrendo attività utili a chi ne ha più bisogno, se promuovono comportamenti responsabili e alleanze con le istituzioni in tal senso, questo avviene anche grazie al percorso svolto per la cura dei beni comuni. Sono loro che spesso “fanno la differenza”, evidenziando diversi gradi di resilienza delle comunità e delle reti di solidarietà, proprio su quei territori oggi più colpiti dall’emergenza socio-sanitaria.
Perché essi sembrano aver creato capacità di mettere a sistema, in pochi giorni, le diverse risorse dei territori, diventando hub territoriali, elaborando talora progetti sotto forma di “patti”, dando quindi prova di risposte efficaci anche in tempi di coronavirus. Si evidenzia dunque un’inedita forza delle comunità territoriali di autorganizzarsi in rete, secondo il metodo che caratterizza proprio quelle esperienze di cura dei beni comuni che vanno sotto il nome di “Emblematici”. A chi quindi oggi è costretto a chiudere alcuni luoghi curati dai cittadini e che si trova forse a pensare che molto del lavoro svolto possa andare distrutto, gli Emblematici possono indicare una strada oggi più che mai percorribile ed un metodo di operare con e per le comunità locali.
Foto di copertina: progetto “Villa Dho: da villa padronale a casa aperta nella città di Seveso”