L’innovazione sociale ai tempi del Covid-19: la collaborazione passa sulla rete e deve saper superare tutte le distanze

Sono tempi difficili, imprevisti ed imprevedibili. Per il bene di tutti e tutte dobbiamo restare a casa, distanti. Per quanto non lo sappiamo. Credo siamo tutti preoccupati che possa essere per molto. E cosa ci sarà dopo? Uno scenario complesso, con esiti economici e sociali solo in parte prevedibili.
In questo scenario saltano tante certezze, abitudini, ritualità. Le agende si svuotano e le giornate si trasformano, le mani e gli sguardi smettono di incontrarsi. Le città si fanno deserte, i giardini silenziosi, qualche pianta troppo giovane con il caldo in arrivo appassisce.
E cosa succederà alle comunità ora che non possono incontrarsi? Appassiranno anche loro?
Una sfida anche concettuale per chi, come noi di Labsus, continua da tempo a ribadire che il centro di ogni nostra azione è la costruzione di relazioni e che queste passano per la capacità di stare insieme, di condividere spazi e tempi, di abbracciarsi.

Ci sono “distanze” e “nuove vicinanze”

E’ esperienza di molti che questi sono giorni che ci allontanano e ci avvicinano allo stesso tempo. Il desiderio di essere in relazione sta tracciando una parte importante di questa esperienza collettiva: ci si ritrova a cantare dai balconi, si lanciano challenge, ci si sente più spesso e con forse maggiore intensità con le persone alle quali vogliamo bene; passano nella rete migliaia di chiamate, videochiamate, messaggi, giochi, racconti.
E allo stesso tempo abbiamo oltrepassato la soglia dell’intimità, siamo entrati attraverso il video nelle case dei nostri capi e dei collaboratori, dei terapeuti e dei clienti, degli insegnanti e degli alunni, dei ricercatori che popolano le tv.
Dentro e fuori, pubblico e privato, paradossalmente, sono oggi molto più vicini.
E, ancora, si allarga la rete della solidarietà. Molti stanno mettendo a disposizione quello che possono per essere utili. Già il fatto di restare a casa è una parte importante di questa azione collettiva di cura della nostra comunità, poi c’è chi sta in prima linea e si prende cura attivamente di chi è più fragile. Perché in questi giorni chi è solo lo è esponenzialmente più degli altri.

La tecnologia a servizio della comunità e delle relazioni

Altra evidenza di questi giorni è che relazioni, informazione, apprendimento, tutto sta passando e dipende dalla tecnologia.
Tante realtà hanno fatto un grande balzo in avanti nell’utilizzo di strumenti che erano già pronti e disponibili. Basti pensare al tempo record in cui le amministrazioni pubbliche e le aziende sono dovute passare alla modalità di lavoro smart da casa.
I servizi pubblici rivolti alle comunità, dove si sta operando in modo responsabile e flessibile, si stanno rimodulando perché possano passare sulla rete. O ancora, si stanno ripensando per rispondere a nuovi bisogni (ad esempio il servizio mense scolastiche si converte in preparazione e consegna dei pasti per chi è in difficoltà). Questo con un duplice obiettivo: non lasciare sole le persone, ma allo stesso tempo dare una prospettiva alle molte realtà che gestiscono i servizi pubblici. Si stanno ripensando i protocolli, convertendo le procedure, innovando le competenze. Perché ci viene chiesto di non incontrarci, ma non possiamo smettere di essere vicini a chi ha bisogno.
Le emergenze fanno questo, dilatano i tempi e accelerano le conquiste. E’ l’adattamento, quella funzione essenziale che ci permette di fronteggiare le situazioni e ottimizzare le abilità. Oggi essere capaci di utilizzare in modo umano e competente le tecnologie è necessario alla sopravvivenza e all’accesso alle informazioni essenziali per comprendere quello che sta accadendo.

Occhio alle insidie

Tanto non vuol dire necessariamente buono. Siamo sottoposti ad un uragano di informazioni, sempre disponibili, molto dettagliate, non differenziate in base alla tipologia di fruitori. Questo non è un bene. L’accesso all’informazione è un diritto, ma è altrettanto importante poter comprendere quello che ricevo e capire cosa farne.
Allo stesso tempo, soprattutto sui social, non esiste una scala di priorità tra le fonti dell’informazione. Tutte passano allo stesso modo e, senza una competenza di discernimento, tutte assumono la stessa rilevanza.
Una comunità responsabile deve farsi carico di garantire un accesso all’informazione attendibile, facile e realmente fruibile. In un momento di crisi in cui le notizie si susseguono veloci, cambiano continuamente le disposizioni ed è essenziale che tutti siano consapevoli e sappiano realmente cosa fare, questo è vitale.

L’esperienza: una CHATBOT a servizio della collettività

Ma come sostenere l’attivazione di esperienze che sappiano proporre risposte efficaci ed eque a questi bisogni delle comunità in fase di emergenza, coinvolgendo la società e i cittadini in processi condivisi di cura in un momento in cui non possiamo incontrarci?
Tra tutte queste riflessioni arrivano loro, nove giovani innovatori italiani (uno di loro vive in Argentina, ma di questi tempi, paradossalmente, le distanze non esistono più): “Vista l’emergenza in cui il paese si trova a causa del nuovo Coronavirus COVID-19, ci siamo riuniti in pieno spirito di attivismo civico con l’obiettivo di aiutare il governo e le istituzioni in questo particolare momento – dice Francesco Paolo Russo, referente del team – L’idea è stata quella di sviluppare un sistema chatbot ossia un software progettato per simulare una conversazione con un essere umano, in grado di fornire informazioni corrette e dettagliate alle persone che in questi giorni stanno intasando i call center ed i canali istituzionali di regioni e ministeri. Il progetto è stato sostenuto sin da subito da diverse realtà e promosso anche dalla Fondazione UniVerde”.
Quando ci siamo incontrati, rigorosamente in videoconferenza, Francesco e Mauro ci hanno presentato il loro progetto e hanno chiarito che per loro questo voleva dire dare un contributo alla comunità. Hanno scelto di iniziare da Latina, la loro città, perché ne sentono il bisogno ma sono a disposizione di tutta l’Italia.
Racconto loro dei patti di collaborazione, chiedo se può essere una giusta rappresentazione di quello che mi stanno presentando. Basta poco, siamo d’accordo.
Abbiamo condiviso un obiettivo comune: tutelare il diritto di accesso per tutti e tutte ad informazioni certe e verificate. Abbiamo così firmato il primo patto digitale della nostra città, il primo siglato ognuno nella propria casa, e siamo partiti insieme in un’avventura nuova per tutti. Ma “cura” e “collaborazione” si sostanziano anche di questo, della capacità creativa di trovare soluzioni inedite e condivise per attraversare insieme le difficoltà.
Si chiama Minerva Bot ed è già attivo su una pagina facebook dedicata ed accessibile tramite questo link; la sua base di conoscenza è stata elaborata attingendo alle informazioni presenti sul sito del Ministero della Salute.
Oggi tutti i cittadini di Latina, entrando sul sito del comune, possono chattare tramite questo sistema e recuperare le informazioni di cui hanno bisogno. Francesco, Paolo, Mauro, Annalisa e tutto il team, ciascuno da casa, lavorano tutti i giorni per garantire l’aggiornamento del sistema e ottimizzarlo. Lo fanno grazie alla loro competenza e professionalità che hanno deciso di mettere a disposizione delle comunità. Dico “delle comunità” perché il Comune di Latina è stato il primo ad accogliere il progetto, ma ribadisco che questo straordinario team di innovatori è a disposizione di tutte le altre istituzioni, locali e non, che vorranno aderire. Chi volesse contattarli può scrivere a infominervabot@gmail.com. Questo tempo, in cui siamo fisicamente e forzatamente distanti, è attraversato dalla forza delle relazioni e della solidarietà, dalle soluzioni creative e da infinite cose da imparare, da modi nuovi di essere comunità e di prenderci cura. È l’Italia che si prende cura dell’Italia.

P.S.: Siamo sicuri di non esserci dimenticati nessuno? 

Poter restare vicini grazie all’innovazione tecnologica ci rassicura, ma bisogna fare attenzione: non è assolutamente vero che siamo tutti coinvolti in questa nuova modalità di relazione e siamo raggiunti facilmente dalle informazioni. Questa emergenza sta esasperando le differenze tra chi ha accesso e chi no al mondo della tecnologia dell’informazione. Sono molte le famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà e non hanno accesso alla rete, sono molte le persone anziane che non hanno imparato ad utilizzare questi strumenti, molte le situazioni di fragilità che limitano la fruizione delle informazioni che viaggiano online. Non dobbiamo illuderci dunque, la tecnologia ci sta senza dubbio aiutando a veicolare informazioni e supportare le relazioni per una buona percentuale della popolazione, ma c’è una parte altrettanto importante della nostra comunità che ne resta esclusa. E, tenendo a mente uno dei principi fondamentali che governano i processi di amministrazione condivisa, il nostro sforzo massimo deve essere quello di rendere accessibile a tutti, senza esclusioni, i beni che riteniamo essenziali. E l’informazione lo è, in questo momento più che in altri. Il “digital divide”, un’altra distanza da colmare.
Cosa fare allora? Massimizzare la capacità di trasmissione delle informazioni verso la parte di comunità “loggata” per promuovere un impegno condiviso di amplificazione delle notizie e delle informazioni. Si richiede dunque alle persone che vengono raggiunte dalle informazioni di essere un “ponte umano” di diffusione e di colmare altri vuoti, di citofonare ai vicini di casa più anziani o fragili, di fare una telefonata, di mettere all’ingresso dei palazzi degli avvisi stampati, per chi ha competenze di tradurre le informazioni con il linguaggio aumentativo o semplificarle per i bambini. D’altronde, semplificando, non mi verrebbe mai in mente di videochiamare mia nonna, o di chiederle di inviarmi un video della sua ricetta migliore. Non è parte del suo mondo e non posso aspettarmi che proprio ora inizi a farlo. Io mia nonna la chiamo, le chiedo gli ingredienti per la torta alle mele e li scrivo di fretta su un foglio, mi racconto e mi metto ad ascoltare. Insomma, è richiesto alle persone di fare quello che la tecnologia non può fare, essere prossima a tutti senza lasciare indietro nessuno.
La tecnologia è uno degli strumenti che abbiamo per essere in relazione e tenerci vicini, vitale in questo momento, ma non è l’unico. Perché le relazioni tra le persone, quelle fatte di affetto e ricerca, di interesse e pensiero, continuano ad essere la forma più alta ed efficace di protezione e cura.
E ora che ci penso, dopo aver inviato questa email chiudo il computer e vado a citofonare alla signora del secondo piano, mi manca salutarla al mattino quando ci incontriamo sulle scale.

Il Team di Minervaè composto da: Francesco Paolo Russo (Latina), Annalisa Milani (Latina), Mauro Piva (Latina), Andrea Coletta (Ferentino, FR), Maurizio Natalia (Canistro, AQ), Matteo Rai (Canistro, AQ), Domenico Michele Silvestri (Noci, BA), Marco Silipigni (Varapodio, RC), Gustavo Salvini (Turdera, Argentina).