A nove anni dal primo Regolamento “madre” sui beni comuni, Bologna apre ancora la strada dell’innovazione amministrativa (e sociale), ideando un’unica cornice di riferimento per tutte le pratiche e i processi collaborativi della città. Ne abbiamo parlato con Erika Capasso, presidente della Fondazione Innovazione Urbana.

La città che ha dato i natali al Regolamento “madre” di tutti i regolamenti sui beni comuni, Bologna, apre nuovamente la strada della sperimentazione amministrativa urbana. Il primo gennaio 2023 entrerà infatti in vigore il nuovo “Regolamento sulle forme di collaborazione tra soggetti civici e Amministrazione per lo svolgimento di attività di interesse generale e per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani” (trovate il testo in fondo all’articolo): insieme ad alcune modifiche allo Statuto comunale, attraverso questo strumento il Comune riconosce nel suo atto normativo fondamentale il ruolo dei soggetti civici nella lettura dei bisogni, nella condivisione delle linee di intervento e nella costruzione delle attività condivise di interesse generale. Per esplorare alcune delle principali novità contenute nel nuovo testo e iniziare a tracciarne potenzialità e profili d’interesse rilevanti anche per altre città, abbiamo intervistato Erika Capasso, delegata alle Politiche per il Terzo settore e Presidente della Fondazione per l’Innovazione Urbana (FIU).

Un primo elemento d’innovazione è indubbiamente la creazione di un’unica cornice normativa per l’Amministrazione condivisa, che tiene insieme lo spirito del Regolamento di Bologna del 2014 e quello dell’art.55 del nuovo Codice del Terzo settore – il cui significato, come sappiamo, è stato chiarito dalla storica sentenza della Corte costituzionale n.131 del 2020. A quali necessità risponde questa scelta?

La definizione di un unico Regolamento, forte del nuovo contesto normativo nazionale determinato dalla Riforma del Terzo Settore, delinea il modello dell’Amministrazione condivisa come elemento strutturale nel rapporto tra Comune e cittadini. Attraverso gli strumenti della programmazione condivisa e della progettazione condivisa si ampliano i margini a disposizione dei soggetti civici per definire, attuare e monitorare, insieme al Comune, piccoli e grandi interventi utili ad affrontare i bisogni e a sviluppare le potenzialità del contesto sociale bolognese. Il nuovo Regolamento riordina e potenzia le diverse leve a disposizione per favorire la realizzazione di questi interventi e le colloca nell’ambito di un ecosistema collaborativo caratterizzato da flessibilità, semplificazione, trasparenza ed accountability.
La nostra necessità era innanzitutto quella di mettere a sistema tutte le forme di collaborazione, riconoscendo sì le differenze – il Codice e poi la sentenza stabiliscono in maniera precisa cosa sono coprogrammazione e coprogettazione e quali enti possono partecipare – ma anche ragionando in termini di sistema, appunto. Bologna ci ha dato dimostrazione di quanto il tessuto civico anche informale, più “semplice” dal punto di vista organizzativo, sia essenziale, nel quadro complessivo dell’Amministrazione condivisa – realtà che magari non si iscriveranno al RUNTS (Registro Unico nazionale) ma che comunque agiscono sul territorio, per il bene comune, collaborando con l’amministrazione e gli altri enti.
La nostra volontà è quindi quella di creare un sistema unitario che riconosca le differenti funzioni, le diverse tipologie di relazioni e quindi forme di collaborazione. Questa è stata la motivazione alla base del fare un passo avanti rispetto al Regolamento del 2014, mettendo però a sistema al suo interno anche le altre esperienze di collaborazione e forme di AC: la gestione degli spazi pubblici, il loro affidamento e le modalità, i percorsi di coprogettazione e coprogrammazione che fino ad oggi avevano invece una loro delibera specifica.

Come previsto nel Codice, la partecipazione ai processi di co-programmazione e co-progettazione è riservata ad ETS e imprese sociali, a cui si aggiungono, nel caso di Bologna, le Case di quartiere. I soggetti meno strutturati che citavi possono in qualche modo – ad esempio attraverso un Patto di collaborazione – essere inclusi anche in queste partite? In che modo gli ETS potrebbero contribuire ad ampliare le reti della partecipazione?

Il Regolamento valorizza la programmazione e la progettazione condivisa anche con tutte quelle associazioni territoriali minori del mondo del volontariato e i gruppi informali di cittadinanza attiva che hanno un ruolo prezioso e determinante per la cura del bene comune nella nostra città. Ferma e chiara ne è la differenziazione nell’alveo però di un riconoscimento, seppur diversificato, necessario per non disperdere tutte le energie civiche della nostra città. Per questo abbiamo deciso di continuare a dotarci di un registro delle LIBERE FORME ASSOCIATIVE che dal 1 gennaio 2023, data di entrata in vigore del Regolamento, è composto da quelle realtà che, pur di natura giuridica associativa e con il vincolo di agire senza scopo di lucro, non potranno o non riusciranno a entrare nel RUNTS. Gli ETS sono attori strategici che, insieme all’Amministrazione Comunale, con il Patto per l’Amministrazione condivisa e con gli strumenti e l’assetto del nuovo Regolamento si prendono l’impegno di rafforzare e diffondere la partecipazione, la consultazione e la valorizzazione dei cittadini e delle cittadine nelle scelte più importanti o su quelle che li riguardano più da vicino, considerando che Bologna è stata la città che ha per prima sviluppato azioni per la cura condivisa dei beni comuni con i Patti di collaborazione e l’immaginazione civica; coerentemente con gli obiettivi e i valori perseguiti dalla riforma del decentramento, le parti intendono affrontare la complessità del contesto urbano contemporaneo stimolando, sostenendo e valorizzando il concorso dei cittadini alla creazione di un ecosistema collaborativo nel quale, ferma restando la responsabilità di adempiere ai compiti spettanti agli ETS, possano svolgere un ruolo abilitante, aggregante e moltiplicatore rispetto alle risorse ed alle progettualità della comunità. In questo senso l’impegno è quello di promuovere e supportare percorsi che portino a Patti di Collaborazione Quadro come quello sperimentato per la comunità LGBTQ+.
Per quanto riguarda il coinvolgimento di gruppi informali o singoli cittadini, la risposta è assolutamente sì. I Patti di collaborazione per loro natura prevedono che a poterli sottoscrivere siano anche i cittadini organizzati in forme autonome, informali. Il Patto è per noi quindi uno strumento importante di progettazione condivisa, per tenere agganciate anche le realtà non “predisposte” alla co-programmazione e co-progettazione come previste dal Codice nazionale.

In questo contesto, le Case di Quartiere svolgono una funzione strategica ed hanno quindi una menzione particolare nel Regolamento.

A partire dal 2019 Bologna ha avviato un processo di trasformazione dei centri anziani in Case di quartiere, 33 in tutto. È l’infrastruttura di prossimità più diffusa che ci sia in città. Per noi è importante che diventino luoghi di comunità, dove i cittadini trovino risposta ai loro bisogni sociali, relazionali e culturali. Si tratta di un processo in corso, ogni Casa è diversa dall’altra e incide su un contesto specifico. Hanno una menzione particolare perché crediamo debbano avere un ruolo centrale all’interno di tutti i processi e le pratiche di collaborazione.
Ad esempio, i laboratori di quartiere – che sono quella struttura di incontri che il Comune e la FIU si sono dati per confrontarsi con la cittadinanza su vari temi urbani – di solito si organizzano e sviluppano al loro interno. In generale qualsiasi altro processo di prossimità coinvolge le Case di quartiere.

Molto raramente si parla delle esternalità positive che l’Amministrazione condivisa può generare a livello economico. Nel nuovo testo si fa invece esplicito riferimento sia a pratiche di economia collaborativa, circolare e di comunità, che possono quindi rientrare tra le attività svolte, sia alla possibilità che grazie alla collaborazione civica si creino nuove ed inclusive opportunità di lavoro. Puoi farci qualche esempio?

Noi siamo fortemente convinti – e la Città metropolitana si è dotata non a caso anche di un piano per l’economia sociale – che ci sia bisogno di immaginare un sistema strutturalmente diverso: se vuole essere un sistema di economia sociale che mette al centro il principio della redistribuzione attraverso nuovi modelli di welfare plurale, comunitario e di impronta mutualistica, questo non si possa non fare che con il Terzo settore, che fonda la sua natura nel rapporto diretto con il territorio e con le comunità e i beneficiari dei loro servizi. Bologna ha una storia importante di cooperativismo, che ha però bisogno di ritrovarsi e rilanciarsi nel futuro – trovando anche pratiche nuove di innovazione sociale per essere sostenibile nel lungo periodo. La volontà è quella di sperimentare insieme partendo da una base comune forte di riconoscimento, per costruire un modello diverso.
Un esempio al quale abbiamo iniziato a lavorare in pandemia è quello di Consegne Etiche. Abbiamo lavorato con associazioni e cooperative per ridisegnare un servizio basandolo su principi etici – in termini di dignità del lavoro e sostenibilità ambientale. Consegne Etiche oggi è attivo attraverso le biblioteche, consegnando libri a domicilio a chi ne ha bisogno. Siamo in una fase di ri-progettazione, immaginando che possa diventare un servizio per la città in diverse forme. Non è semplice rilanciarlo laddove sei in competizione con un mercato particolarmente aggressivo, come quello del delivery… Non è semplice, ma dobbiamo provarci.

Quello del patrimonio immobiliare pubblico è notoriamente un tema delicato per le grandi città, in particolare quelle maggiormente aggredite dai processi di turistificazione e gentrificazione come Bologna. La rigenerazione degli immobili in disuso attraverso i Patti di collaborazione può essere una strada anche per arginare le esternalità negative di questi fenomeni? O, al contrario, se non accompagnata da opportune politiche rischia di assecondarli?

È sicuramente necessario costruire una nuova cornice di politica pubblica condivisa intorno alla rigenerazione degli spazi, che abbia come punto fermo la gestione condivisa dei beni comuni. Come diceva Elinor Ostrom, la prima donna ad essere premiata con il Nobel all’economia: “Il modello di gestione deve essere congruente con la natura del bene: se questo è comune, anche la gestione deve esserlo”.
Partendo da questo assunto il Patto per l’Amministrazione condivisa individua la necessità di una nuova politica di utilizzo degli immobili destinati ad uso civico che sia orientata alla più ampia accessibilità e inclusività, aperta ad accogliere le progettualità del territorio, promosse dalle diverse tipologie di soggetti formalmente costituiti o meno e di farlo partendo da una mappatura condivisa degli spazi esistenti inutilizzati per poter attivare processi di rigenerazione urbana anche attraverso pratiche di assegnazione temporanea e/o transitoria e valorizzando il principio della redditività civica per quanto concerne la sua sostenibilità.
Il nuovo Regolamento infatti individua tre tipologie differenti di assegnazione degli spazi: occasionale, transitorio e stabile per cui vengono previste modalità più semplici per poter utilizzare temporaneamente uno spazio comunale in relazione alle effettive esigenze del progetto nel limite massimo di un anno, rinnovabile di un ulteriore anno. Ovviamente rimane la possibilità, già prevista dai precedenti regolamenti, di assegnare gli immobili per un periodo più lungo: la scelta però è quella di privilegiare, per quanto possibile, l’uso condiviso degli spazi in un’ottica di collaborazione, polifunzionalità e incontro. Viene infine dettata un’apposita disciplina per favorire la rigenerazione degli immobili inutilizzati che possono diventare la sede per svolgere attività pensate e realizzate insieme alle comunità di riferimento.
L’importante novità introdotta da questo Regolamento è che attraverso i patti di collaborazione la gestione condivisa di un bene anche da parte di comunità e non solo ETS o associazioni formalmente istituite può essere una forma per arginare esternalità negative e abbandono, affidando alla gestione comune e condivisa la cura di un bene comune. Del resto per poter esistere il bene comune, che sia esso fisico o immateriale ha bisogno di un sistema di cura, che è a sua volta determinato dalla presenza di una comunità: non c’è bene comune senza una comunità che se ne prende cura e non c’è comunità capace di cura che non sia parte di un sistema di prossimità, ovvero un insieme di beni comuni che le permettono di esistere. Attorno ad un bene comune nasce una comunità ma serve una comunità per avere un bene comune.

Un’altra novità del nuovo testo è il riconoscimento della valutazione d’impatto sociale come elemento qualificante della progettazione territoriale. Si tratta di un tema enorme che meriterebbe un’intervista a parte. Ci sono però delle esperienze o percorsi avviati di cui ci vuoi brevemente parlare, che possono dar conto della capacità di rottura di questo approccio?

Meriterebbe davvero un’intervista a parte questo tema andando ad incidere di fatto su tutto il sistema di programmazione, progettazione e monitoraggio della macchina amministrativa come del Terzo Settore. L’obiettivo che ci siamo dati è quello di avviare un processo sistemico di co-valutazione centralizzato, creando una connessione tra l’attività di rendicontazione e di valutazione del Patto e dell’Amministrazione condivisa e quella più generale del comune di Bologna.
Come percorsi avviati merita una menzione senz’altro il percorso che il Comune, dal 2021, oltre alla ordinaria e obbligatoria attività di rendicontazione, sta sperimentando con il modello del Report Integrato, utilizzando il framework internazionale dell’Integrated Reporting, strumento di rendicontazione volontaria che ha la finalità di dar conto del valore pubblico complessivamente prodotto dall’azione dell’Ente per il territorio nell’ambito delle diverse dimensioni della sostenibilità, in una logica sistemica, e con l’utilizzo di tutti i capitali di cui dispone.
Oltre a questo il Dipartimento Cultura e Promozione della Città del comune di Bologna ha avviato quest’anno un progetto strategico di definizione di un nuovo strumento condiviso per la valutazione di impatto della cultura. Il progetto ha l’obiettivo di valutare, nel senso di dare valore, il potere trasformativo della cultura, come veicolo politico e democratico, sui cittadini, nella convinzione che la cultura crei occasioni di protagonismo civico e di partecipazione che possono essere misurati e raccontati. Si tratta di un percorso di confronto tra Amministrazione e operatori culturali, che parte dalla costruzione di una visione strategica della Cultura per Bologna che coordini l’azione di tutto l’ecosistema. Il progetto, realizzato insieme al Terzo Settore cittadino, potrebbe essere esteso come buona pratica agli altri settori dell’amministrazione.

Per dare gambe ai nuovi strumenti non è sufficiente, come sappiamo, la loro adozione amministrativa. Per concludere: a quali condizioni, secondo te, il nuovo Regolamento potrà davvero fare la differenza?

Per applicare il Regolamento in maniera completa e profonda sarà necessario superare le resistenze ad un cambiamento così radicale, sia da parte della macchina amministrativa sia da parte del Terzo settore. Le novità introdotte comportano dei cambiamenti radicali in termini metodologici e di approccio. Gli ostacoli che vedo è che abbiamo tutti bisogno di fare formazione, ed è qualcosa che stiamo iniziando a impostare come accompagnamento al percorso, per riuscire a capire e maneggiare i nuovi strumenti e fare nostro un metodo nuovo di lavorare. All’inizio sembrerà molto oneroso, perché sono processi che richiedono incontro, ascolto, messa in discussione… e che però sul lungo periodo daranno dei risultati completamente diversi: l’Amministrazione condivisa può secondo me portare finalmente a una trasformazione della società e non più semplicemente a lenire i problemi, lavorando sulle cause e trovando quindi, finalmente, risposte trasformative. Gli ostacoli sono il doversi mettere in gioco e rimboccarsi le maniche, con responsabilità ma anche con entusiasmo nell’imparare dei metodi nuovi di relazione e di lavoro, che siano sempre più collaborativi e meno competitivi per quanto riguarda il mondo del Terzo settore, sempre più volti all’ascolto e alla collaborazione per quanto riguarda l’amministrazione comunale.

Clicca qui per scaricare il testo del Regolamento.

Foto di copertina di Margherita Caprilli.

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