“Chiunque, individualmente o collettivamente, ha diritto a trarre beneficio dal patrimonio culturale e a contribuire al suo arricchimento; chiunque, individualmente o collettivamente, ha la responsabilità di rispettare sia il proprio che l’altrui patrimonio culturale e, di conseguenza, il patrimonio comune dell’Europa; l’esercizio del diritto al patrimonio culturale può essere soggetto soltanto a quelle limitazioni che in una società democratica sono necessarie alla protezione dell’interesse pubblico, degli altrui diritti e libertà”: questi i principi della Convenzione di Faro contenuti nell’art. 4 della Legge 1 ottobre 2020, n. 133 che ha recepito la Convenzione nell’ordinamento giuridico italiano.
La Convenzione di Faro e il Codice dei beni culturali
La prospettiva offerta dalla Convenzione di Faro è duplice: si sancisce da una parte il diritto di tutti a fruire del patrimonio culturale e dall’altra si sancisce il diritto a contribuire al suo arricchimento e dunque a partecipare alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio culturale.
Principio ben descritto nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio in almeno due disposizioni. La prima, contenuta nell’art. 6 del Codice, in cui si afferma che la Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale e la seconda, contenuta nel comma 4 dell’art. 111 del Codice, in cui si sostiene che la valorizzazione ad iniziativa privata è attività socialmente utile e ne è riconosciuta la finalità di solidarietà sociale.
Diverse sono le forme attraverso le quali in Italia si è attuato questo principio di collaborazione e di coinvolgimento dei soggetti privati tenendo ben distinte l’esercizio delle funzioni connesse alla tutela e alla valorizzazione che restano in capo all’Amministrazione pubblica dalle attività, come prevede lo stesso art. 6 del Codice dei Beni culturali, dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura.
Il PSPP tra Codice dei contratti pubblici e Codice del Terzo settore
La forma più evoluta del coinvolgimento dei privati e delle formazioni sociali in ambito culturale è il Partenariato speciale pubblico-privato.
Si tratta di una disposizione contenuta in due testi normativi: il Codice dei contratti pubblici ed il Codice del terzo settore. La prima disposizione prevede all’art. 134 comma 2 che “Per assicurare la fruizione del patrimonio culturale della nazione e favorire altresì la ricerca scientifica applicata alla sua tutela o alla sua valorizzazione, lo Stato, le regioni e gli enti territoriali possono, con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, attivare forme speciali di partenariato con enti e organismi pubblici e con soggetti privati, dirette a consentire il recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l’apertura alla pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali, attraverso procedure semplificate di individuazione del partner privato analoghe o ulteriori rispetto a quelle previste dall’articolo 8”. Il Codice del terzo settore consente di fare ricorso alle procedure di cui all’art. 134 del Codice dei contratti pubblici per attivare forme speciali di partenariato con Enti di terzo settore attivi nei processi di valorizzazione culturale.
L’innovazione profonda rappresentata da questa norma è il richiamo esplicito alla partecipazione dei privati a tutte le dimensioni del patrimonio culturale: recupero, restauro, manutenzione, ricerca, fruizione, gestione e valorizzazione.
Il nuovo Codice dei contratti pubblici colloca questa forma atipica di partnership pubblico-privato nel solco dei contratti gratuiti, e cioè di contratti privi di onerosità, intendendosi per essi quei rapporti che non prevedono esborsi finanziari diretti delle organizzazioni pubbliche a favore dei privati impegnati a collaborare per la valorizzazione del patrimonio culturale.
I beni culturali e l’amministrazione condivisa
Ed è proprio la natura gratuita del partenariato per i beni culturali a rafforzare l’inquadramento di questa forma speciale di cooperazione pubblico-privato nel solco dell’amministrazione condivisa.
A tal fine è necessario definire il perimetro dell’amministrazione condivisa a partire da alcuni elementi caratteristici.
Senza cedere eccessivamente alla semplificazione possiamo individuare alcuni aspetti tipici che concorrono a perimetrare il concetto di amministrazione condivisa: il coinvolgimento attivo dei privati, l’assenza di un rapporto puramente sinallagmatico tra pubblico e privato, l’aggregazione di risorse, la co-progettazione delle azioni e delle attività, il perseguimento di una finalità di interesse generale.
Nell’ambito di questo perimetro è possibile delineare strumenti amministrativi, la cui fonte giuridica è il principio di sussidiarietà orizzontale espresso nell’art. 118 ultimo comma della Costituzione, in grado di promuovere un modello di azione pubblica che si arricchisce delle competenze, dell’esperienza, delle risorse e degli impulsi che la società, nelle sue varie articolazioni, è in grado di esprimere.
L’interesse generale come criterio distintivo
In questa visione il partenariato speciale è a pieno titolo uno strumento dell’Amministrazione condivisa: esso rappresenta un esperimento attraverso il quale l’amministrazione culturale ridefinisce lo spazio giuridico della propria azione attraverso una forma specifica di coinvolgimento dei privati. Sul profilo soggettivo è necessario soffermarsi. La sentenza della Corte Costituzionale del 26 giugno 2020, n. 131, ha da una parte sancito che le forme dell’azione sussidiaria contenute nel Codice del terzo settore trovano la loro applicazione nei confronti degli Enti di Terzo Settore ma allo stesso tempo ha rimarcato un principio generale contenuto della carta costituzionale secondo il quale l’azione del sistema pubblico per lo svolgimento di attività di interesse generale è ben più ampio del perimetro della Pubblica Amministrazione in senso stretto, e dunque tali azioni ben possono essere perseguite anche da una «autonoma iniziativa dei cittadini».
I patti di collaborazione ne sono una effettiva dimostrazione ed in molti casi essi possono rappresentare, insieme alle forme di partenariato speciale, gli strumenti più idonei per la cura dei beni culturali pubblici.
Peraltro, la stessa Corte costituzionale, nella sentenza 163 del 2012, ha offerto un’interpretazione del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale secondo il quale le imprese possono concorrere efficacemente allo svolgimento di attività di interesse generale anche attraverso forme di partenariato pubblico-privato. La profilazione soggettiva dei soggetti privati ha inoltre subito negli ultimi decenni una incessante ibridazione. L’introduzione nel nostro ordinamento di figure soggettive in grado di coniugare il perseguimento di finalità di interesse generale con diverse forme giuridiche, com’è accaduto di recente con la disciplina delle Imprese Culturali e creative, allarga lo spettro dei soggetti privati a cui sono riconosciute specifiche attitudini a partecipare insieme ai soggetti pubblici alla realizzazione dell’interesse generale.
La valorizzazione culturale è teleologicamente orientata alle finalità di interesse generale e ad essa è attribuita dal nostro legislatore una immanente valenza sociale. Alcun dubbio, dunque, può essere nutrito sul fatto che sul terreno della valorizzazione culturale possano confluire nel modello collaborativo profili soggettivi tra di loro diversi.
Valorizzare le esperienze territoriali
Le sponsorizzazioni culturali e le diverse forme di mecenatismo, Art Bonus in primis, indicano che il concorso dei cittadini e dei privati alla cura del patrimonio culturale possa assumere forme molto ampie e diversificate. Le stesse esperienze di partenariato speciale che si sono realizzate in ambito locale e statale restituiscono un quadro molto variegato sia sul piano soggettivo che su quello operativo. La diffusione di queste esperienze testimonia che siamo di fronte ad un nuovo fenomeno giuridico in grado di rispondere con efficacia all’esigenza di rendere vivo il patrimonio culturale, favorendo un nuovo e moderno orizzonte di coesione sociale e di cura e valorizzazione dei beni culturali pubblici.
Marco D’Isanto – consulente di istituzioni culturali, enti del Terzo settore, imprese culturali.
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