Quali dovrebbero essere le priorità per realizzare il modello della città dei 15 minuti?

“(…) for in the field of economic and political philosophy there are not many who are influenced by new theories after they are twenty-five or thirty years of age, so that the ideas which civil servants and politicians and even agitators apply to current events are not likely to be newest. But, soon or late, it is ideas, not vested interest, which are dangerous for good or evil.” J.M. Keynes.[1].

Nella citazione riportata in epigrafe, John Maynard Keynes ci invita a non sottovalutare la forza delle idee, anche quando sembrano astratte o lontane dalla concretezza della vita quotidiana. Le idee, una volta radicate, possono influenzare profondamente intere generazioni, plasmare le politiche pubbliche e orientare lo sviluppo delle società. Proprio per questo è fondamentale che vengano discusse, confrontate criticamente e, soprattutto, che riescano a cogliere lo Zeitgeist, lo spirito del tempo in cui viviamo. Tra le idee che negli ultimi anni hanno avuto un impatto crescente nel dibattito urbano e nelle politiche pubbliche, spicca quella della “città dei 15 minuti”. Questa espressione sintetizza un autentico cambiamento di paradigma nella progettazione dello spazio urbano, basato sul principio della prossimità. In molte grandi città del mondo, sta ispirando una nuova visione del vivere urbano, più sostenibile, inclusiva e attenta alla qualità della vita quotidiana. Cerchiamo allora di comprendere meglio in cosa consista questa idea e perché, affinché possa tradursi in una trasformazione reale, efficace e duratura, sia indispensabile il coinvolgimento diretto e attivo dei cittadini nei processi decisionali.

Il “nuovo” modello della città dei 15 minuti

Il concetto di “città dei 15 minuti” ha iniziato a guadagnare visibilità a livello globale nel 2020, quando la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, ha avviato una vera e propria “rivoluzione della prossimità”, in collaborazione con l’urbanista Carlos Moreno, ideatore del modello. Al cuore di questa visione c’è un principio tanto semplice quanto potente: promuovere uno sviluppo urbano sostenibile che metta al centro la persona e il suo tempo, ispirandosi alla nozione di crono-urbanismo (Moreno et al., 2021). Il modello si contrappone nettamente alla tradizione urbanistica del XX secolo, in particolare alla Carta di Atene di Le Corbusier (1933), che ha influenzato la pianificazione urbana per quasi un secolo. Questa proponeva il principio della zonizzazione, ossia una rigida separazione delle funzioni urbane — abitare, lavorare, produrre, svagarsi — che ha finito per generare città frammentate e dipendenti da lunghi spostamenti.
La città dei 15 minuti, al contrario, mira a ricucire il tessuto urbano, avvicinando i servizi e le funzioni essenziali alla vita quotidiana delle persone. L’obiettivo è ridurre la necessità di spostarsi, promuovendo un modello più inclusivo, sostenibile e centrato sui bisogni reali degli abitanti (Moreno, 2024). L’idea, per quanto semplice, è profondamente innovativa: garantire a ogni cittadino la possibilità di raggiungere, entro 15 minuti a piedi o in bicicletta, tutti i servizi fondamentali, scuole, negozi, uffici, parchi, centri culturali, evitando così lunghe ore nel traffico e guadagnando tempo per sé, con un impatto ambientale decisamente inferiore.
Tuttavia, le radici di questo approccio non sono del tutto nuove. Nella storia dell’urbanistica esistono precedenti illustri che hanno anticipato alcuni dei suoi elementi chiave. Già nel 1898, Ebenezer Howard affrontava il problema del sovraffollamento proponendo la città-giardino, con quartieri autonomi dotati di servizi (Howard, 1898). Nel 1929, Clarence Perry elaborò il concetto di Neighbourhood Unit (unità di vicinato), immaginando quartieri autosufficienti con scuole, negozi, aree verdi e spazi pubblici (Perry, 1929). E nel 1961, Jane Jacobs, nel suo celebre libro Vita e morte delle grandi città, sottolineava l’importanza della prossimità per favorire la vitalità urbana, la diversità sociale e lo scambio di idee, beni e culture (Jacobs, 1961).

Un modello urbano centrato sulle persone

Cambiare il nostro stile di vita per renderlo più sostenibile, dal punto di vista ambientale, sociale ed economico, non è più soltanto un’opzione, ma una necessità riconosciuta da un numero crescente di persone. Dopo la pandemia di COVID-19 del 2020, questa consapevolezza si è fatta ancora più urgente. Il lavoro da casa, la riscoperta del proprio quartiere e il desiderio di avere tutto a portata di mano hanno alimentato il dibattito sulle città sostenibili e “a misura di persona”.
In questo contesto, il modello della città dei 15 minuti si propone come una risposta concreta e innovativa agli obiettivi di sostenibilità. Ma quali dovrebbero essere le priorità per realizzarlo? Ridurre le distanze tra cittadini e servizi essenziali vuol dire restituire spazio alle persone, sottraendolo alle auto e al traffico. Per raggiungere questo obiettivo, chi governa le città deve considerare non solo le soluzioni tecniche e architettoniche, ma anche gli aspetti sociali, perché la città è un organismo complesso, in continua evoluzione.
In quest’ottica, garantire la vicinanza a servizi accessibili, vari e di qualità diventa fondamentale per migliorare la qualità della vita, ridurre l’inquinamento e contenere i tempi di spostamento. La città dei 15 minuti rappresenta dunque un modello urbano centrato sulle persone, in cui ambiente, prossimità, solidarietà e partecipazione costituiscono i pilastri fondamentali.
La cosiddetta “rivoluzione della prossimità” è, in questo senso, anche uno strumento per contrastare le profonde disuguaglianze che segnano molte delle grandi metropoli contemporanee. Città opulente, ma segnate da forti contraddizioni, dove non tutte e tutti i cittadini hanno accesso alle stesse opportunità e dove lo sviluppo socioeconomico risulta spesso disomogeneo. Questa disparità si riflette in modo diretto nell’accesso ai servizi: in molti quartieri, soprattutto nelle periferie europee ed extraeuropee, la carenza di servizi essenziali può costringere le famiglie a scelte difficili — come rinunciare al lavoro per occuparsi dei figli, un fardello che ricade ancora troppo spesso sulle donne, alimentando ulteriori diseguaglianze di genere. È proprio per questo che la città dei 15 minuti, attraverso la sua visione di prossimità e inclusione, può diventare uno strumento concreto per ridurre le disuguaglianze territoriali e sociali. Garantire pari accesso ai servizi significa creare città più eque, vivibili e solidali, in cui ogni persona, indipendentemente dal quartiere in cui vive, possa godere di reali opportunità.

La partecipazione dei cittadini quale condizione necessaria

Ma se al centro della rivoluzione della prossimità ci sono le persone, allora essa non può, e non deve, essere imposta dall’alto. In questo cambiamento di paradigma, la partecipazione dei cittadini non è un elemento accessorio, bensì una condizione essenziale: senza il coinvolgimento diretto di chi vive nei quartieri, il rischio è quello di progettare spazi e servizi scollegati dai reali bisogni della popolazione.
Promuovere la partecipazione vuol dire ascoltare attivamente chi conosce a fondo il territorio, i suoi punti di forza, le sue criticità e le sue aspirazioni. Vuol dire offrire a tutte e tutti l’opportunità di esprimere i propri reali bisogni, che si tratti di un parco, una scuola, una farmacia o una pista ciclabile. Inoltre, implica coinvolgere nel processo decisionale chi troppo spesso ne resta escluso: giovani, anziani, donne, persone con disabilità e comunità migranti.
Ma la partecipazione è importante anche per un’altra ragione: rafforza il senso di appartenenza e costruisce legami. Quando le persone sono coinvolte nelle scelte che riguardano la loro vita quotidiana, si sentono parte di una comunità. Si sviluppa così un legame più profondo con il proprio quartiere e cresce l’attenzione verso i beni comuni. La città, in questo modo, diventa davvero uno spazio condiviso, vivo, in cui tutte e tutti si sentono corresponsabili. Una città pensata con i cittadini è anche una città più giusta, inclusiva e resiliente. Le politiche urbane che nascono da un processo partecipativo autentico hanno maggiori probabilità di essere comprese, accettate e sostenute nel tempo. Al contrario, processi partecipativi solo formali o calati dall’alto rischiano di risultare controproducenti. Il pericolo maggiore è quello di alimentare la sfiducia nelle istituzioni, una sfiducia che, in un contesto già segnato da profonde crisi di legittimità, può intensificare i conflitti sociali e compromettere l’efficacia delle politiche pubbliche.

La rivoluzione della prossimità

Per questi motivi, creare spazi di partecipazione autentica è oggi più che mai necessario. In questa prospettiva, i Poli civici integrati di mutualismo solidale e i Patti di collaborazione promossi a Roma rappresentano due strumenti concreti e innovativi. I Poli civici nascono come luoghi aperti, inclusivi, dove cittadini, associazioni, istituzioni e reti sociali possono incontrarsi, dialogare e co-progettare soluzioni ai bisogni del territorio. Sono spazi in cui si valorizza l’iniziativa dal basso, le azioni di mutualismo nelle quali si riconosce il sapere esperienziale dei residenti e si promuove una cultura della corresponsabilità. Allo stesso modo, i Patti di collaborazione offrono un quadro giuridico e operativo per realizzare forme di gestione condivisa dei beni comuni urbani. Attraverso questi strumenti, i cittadini non sono più semplici destinatari di servizi, ma diventano loro stessi attori attivi del cambiamento, protagonisti nella cura degli spazi pubblici, nella rigenerazione urbana e nella costruzione di nuove relazioni sociali.
Lavorare in questa direzione significa dare concretezza alla rivoluzione delle idee e dei processi, rendendo possibile quella rivoluzione della prossimità che punta a rimettere al centro le persone, i loro bisogni, i loro diritti e la loro capacità di prendersi cura, insieme, del proprio territorio. Realizzare la città dei 15 minuti richiede tempo, risorse e un cambio di mentalità, ma soprattutto un impegno collettivo e continuativo. La prossimità non è solo un ideale urbanistico, ma una condizione essenziale per rendere le città più vivibili, eque e resilienti. Investire in processi partecipativi autentici è il primo passo per trasformare questo modello in realtà concreta.

[1] J.M. Keynes (1936), “ The General Theory of Employment, Interest, and Money” Macmillan, London, pp. 383-384.

Riferimenti Bibliografici

Moreno, C.; Allam, Z.; Chabaud, D.; Gall, C.; Pratlong, F., Introducing the “15-Minute City”: Sustainability, Resilience and Place Identity in Future Post-Pandemic Cities. Smart Cities, 2021, 4, 93–111.
Moreno, C. La Città dei 15 Minuti. Per una Cultura Urbana Democratica; ADD Editore: Torino, Italy, 2024.
Perry, C., The Neighborhood Unit, a Scheme of Arrangement for the Family-Life Community, Reg. Surv. N. Y. Its Environ., 1929, 7, 2–140.
Jacobs, J., The Death and Life of Great American Cities; Vintage Book: New York, NY, USA, 1961.

Salvatore Monni è Professore Ordinario di Politica Economica all’Università Roma Tre

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Immagine di copertina: kid-a su Pixabay