La legislazione regionale non può essere lesiva dell ' autonomia regolamentare degli enti locali

Dopo la prima legge regionale di applicazione del principio di sussidiarietà  orizzontale, precisamente quella della regione Umbria, n. 16/2006, Labsus torna a occuparsene alla luce del fatto che altri legislatori regionali hanno intrapreso la medesima strada provvedendo a deliberare leggi non molto dissimili da quella appena citata. Più precisamente hanno seguito l’esempio dell’Umbria, la Campania con legge n. 12/2011, la Calabria con legge n. 29/2012, la Liguria con legge n. 13/2015 e, infine, il Piemonte con legge n. 10/2016. Tutte queste leggi recitano come titolo, quasi in modo identico, «Attuazione dell’articolo 118, comma quarto, della Costituzione ».
Sono, dunque, leggi composte da pochi articoli che ricalcano uno schema molto simile. Sotto il profilo soggettivo tutte individuano quali soggetti della sussidiarietà  orizzontale cittadini, singoli e associati, famiglie, imprese ed enti del terzo settore, che possono agire – sia pure nel rispetto del principio di legalità  – in modo libero senza essere subordinati al rilascio preventivo di autorizzazioni. La finalità  di queste leggi è, ovviamente, stabilire le condizioni per favorire le iniziative di sussidiarietà  orizzontale, la cui pratica attuazione si concretizza con vantaggi di carattere fiscale, sostegni di natura economica o agevolazioni di tipo amministrativo (queste ultime sono particolarmente previste dalla legge del Piemonte, che individua nella semplificazione amministrativa un altro specifico obiettivo della legge).

Le declinazioni del principio di sussidiarietà 
Da questo punto di vista l’intervento delle leggi si limita solo a precisare meglio i contenuti impliciti già  presenti nella norma costituzionale. Più interessanti sono invece altre indicazioni che hanno lo scopo di individuare la direzione di attuazione della norma costituzionale, il che implica ovviamente delle scelte e quindi anche delle limitazioni. Innanzitutto, pare interessante mettere in risalto la circostanza con cui le leggi precisano quale sia l’utilità  aggiuntiva degli interventi in sussidiarietà : il miglioramento del livello dei servizi, il superamento delle disuguaglianze, la collaborazione dei cittadini e delle formazioni sociali, la valorizzazione della persona e lo sviluppo solidale delle comunità . Con l’eccezione della legge umbra, le altre fanno riferimento anche alla cittadinanza attiva umanitaria che viene intesa come utilità  della partecipazione attiva per l’organizzazione solidale della comunità , prendendo cura dei beni civici, culturali e morali della stessa. Prevale, pertanto, una declinazione della sussidiarietà  che è da intendere in senso di svolgimento di attività  per interesse sociale e civile: si allude, infatti, ai servizi pubblici sociali, ai servizi culturali, alla valorizzazione del lavoro e all’iniziativa economica sociale, ai servizi alla persona con particolare attenzione alle categorie svantaggiate. Solo la legge piemontese cita direttamente anche i beni comuni come oggetto di intervento, facendovi rientrare in questo senso le attività  di cura anche del territorio, dell’ambiente, della legalità , dell’istruzione e delle infrastrutture, allargando di molto l’ambito del campo di applicazione.
Quindi le azioni di sussidiarietà  sono considerate come interventi dei soggetti privati preordinati all’integrazione creativa e innovativa di soluzioni che vedono già  impegnate le pubbliche amministrazioni, anche se la legge campana puntualizza che sono tali le attività  promosse dai cittadini «a causa della inerzia delle istituzioni rappresentative » (art. 4), lasciando prefigurare che questo tipo di attività  possono trovare legittimazione solo in modo sostitutivo. Sono però escluse dal campo di applicazione della sussidiarietà  le attività  inerenti al servizio sanitario nazionale e quelle che hanno carattere strettamente economico. Nel primo caso, l’esclusione si giustifica con la presenza di un sistema pubblico pervasivo dei servizi che viene in qualche modo preservato, nel secondo, invece, è la natura dell’attività  a carattere non solidale a discriminare.

Le rigidità 
Le leggi poi definiscono i criteri e le modalità  di selezione per l’individuazione dei soggetti da valorizzare. Quasi tutte indicano criteri generali per la selezione dei progetti meritevoli a cui si devono attenere gli enti locali, anche se nel caso del Piemonte è la stessa Giunta regionale che procede alla valutazione dei progetti se sono sostenuti già  dall’accordo con gli enti locali. In questo senso, però, è decisamente preferibile la scelta della Liguria che non accentra a livello regionale la valutazione dei progetti ma demanda agli «enti pubblici di riferimento », evitando cosìdi riproporre soluzioni troppo rigide che ricalcano modelli di finanziamento più degni di altre esperienze di sostegno delle attività  private.
Si noti, tuttavia, che tutte queste leggi prendono in considerazione fattispecie molto diverse da quelle presenti nell’art. 189, cod. contr. pub., anch’esso intitolato Interventi di sussidiarietà  orizzontale. In questo caso, infatti, la pretesa della disposizione è quella di dare contenuto tipicizzante a una serie di fattispecie configurandole espressione di partenariato pubblico- privato a cui si dovrebbero applicare, salvo per alcuni aspetti, le regole del diritto privato. Nei casi esaminati dalle leggi regionali, invece, siamo in un’ipotesi tradizionale di applicazione di sovvenzioni senza corrispettivo. Si vede, in sostanza, che il legislatore statale nel corso del 2016 ha dato corpo a una soluzione normativa profondamente diversa da quelle regionali, pur pretendendo di intitolare nello stesso modo queste previsioni.

Conclusioni
Labsus è sempre stata convinta che le iniziative di sussidiarietà  orizzontale non necessitino obbligatoriamente del filtro legislativo, dal momento che la costituzione riconosce direttamente la possibilità  di promuoverle da parte delle pubbliche amministrazioni. Lo stesso regolamento per i beni comuni urbani, che Labsus è impegnato a promuovere, richiama direttamente l’applicazione delle norme costituzionali nella convinzione che questa soluzione sia più adatta a garantire il rilievo giuridico delle esperienze sociali di sussidiarietà . Ciò, evidentemente, non significa che l’intervento dei legislatori non possa essere ammesso, ma proprio la ricordata dissonanza tra disciplina statale e quella regionale testimonia quanto rischiosa sia questa scelta.
Nel caso delle leggi regionali citate può essere apprezzato che l’approccio utilizzato è stato tutto sommato fedele all’impianto della norma costituzionale, con l’eccezione forse della legge piemontese che presenta qualche ambiguità  quando richiama tra le finalità  della legge anche la semplificazione amministrativa. Appaiono contenuti anche i rischi connessi all’eccessivo irrigidimento che inevitabilmente una disciplina legislativa porta con sé, sebbene sia notevolmente preferibile la soluzione della legge regionale ligure che ha delegato direttamente agli enti locali l’attuazione degli interventi di sussidiarietà  eludendo qualunque tentazione di dover necessariamente indicare criteri e modalità  di selezione. Tutto sommato queste leggi – sia pure con soluzioni variegate – hanno realizzato un intervento fatto con «mano leggera », non essendo eccessivamente intrusive dell’autonomia locale.
Qualche perplessità  in più desta il tentativo di confinare le attività  di sussidiarietà  sul lato principalmente sociale ed educativo, tralasciando ampi settori di grande interesse civile quali l’ambiente, il territorio e la sicurezza. Da questo punto di vista, la scelta effettuata dal Piemonte appare nettamente preferibile. Si deve però chiarire che tali limitazioni non sono impeditive per i comuni di sperimentare i regolamenti per i beni comuni urbani, dal momento che le leggi regionali servono a vincolare solamente il favor delle regioni, ma non anche quello che – in esercizio della propria autonomia – ciascun ente locale voglia praticare anche in modo più esteso dell’ente regionale in cui è ricompreso.

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