Tar Abruzzo, L'Aquila, sentenza 25 ottobre 2019, n. 519

Questo caso ci offre interessanti spunti di riflessione riguardo le ricadute applicative del Codice del terzo settore sulla disciplina urbanistica generalmente applicabile. Nello specifico, viene ribadito il principio giuridico secondo il quale la natura dell’attività svolta dai soggetti del terzo settore – in quanto priva di fini di lucro e rivolta alla promozione sociale e culturale – è idonea a giustificare un regime di favor ogni qual volta ciò sia espressamente riconosciuto e garantito dal nostro ordinamento giuridico.

Piani di lottizzazione e attività non-profit

La vicenda scaturisce da un provvedimento adottato dal Comune di Roseto degli Abruzzi con cui era stato disposto il divieto di prosecuzione di un’attività di sosta di camper in un’area detenuta da un’associazione, ovvero il Camper Club “Roseto Mare Blu”, sin dal 2002 in virtù di un regolare contratto di locazione con il Comune.
Il Comune motivava il proprio provvedimento asserendo che l’area in questione, dove viene posta una struttura ricettiva amovibile, ricade in un comparto del vigente piano regolatore generale per il quale si imporrebbe il ricorso al piano di lottizzazione previsto dalla normativa regionale, da cui sorge l’obbligo di rispettare i parametri relativi all’ubicazione della viabilità, dei parcheggi e la quantità di spazi pubblici.
L’associazione impugnava il provvedimento ai fini del suo annullamento e dell’accertamento del proprio diritto a proseguire l’attività di ospitalità dei camper sull’area di sosta in questione. Nelle more del giudizio, in via cautelare veniva disposta con ordinanza dal TAR la prosecuzione dell’attività, ritenendo prevalente l’interesse alla prosecuzione dell’attività di ospitalità di camper. Il giudice dichiarava infine il ricorso ammissibile e annullava il provvedimento comunale impugnato.

I criteri usati per sciogliere la controversia

In realtà, nella controversia in questione, l’antinomia è risolta sulla base di due diversi criteri, quello della specialità e della diversa posizione gerarchica delle fonti. Ma il giudice adito nelle sue argomentazioni conferisce molto più risalto al primo dei criteri menzionati, dilungandosi nel ricordare che il Codice del terzo settore riconosce alle associazioni oggetto della sua disciplina la possibilità di svolgere la propria attività istituzionale, purché priva di finalità commerciali, in qualsiasi locale o altra sede – incluse le aree scoperte – indifferentemente dalla destinazione urbanistica. Detto in altri termini, stanti le disposizioni di legge appena richiamate, la disciplina urbanistica locale tradotta nel piano regolatore generale non può essere applicata indifferentemente ad attività di tipo lucrativo e non profit, pena un’illegittima violazione delle disposizioni contenute nella legge che disciplina il particolare regime giuridico cui sono sottoposti gli enti del Terzo settore.
Ne deriva che, se per le ordinarie attività commerciali l’esatta applicazione delle norme urbanistiche deve considerarsi legittima e ragionevole, ciò non è nel caso delle attività di promozione sociale, incluse quelle la cui attività possa essere svolta solo ed esclusivamente all’aperto. La particolare meritevolezza dei fini associativi perseguiti garantisce, allora, il riconoscimento di condizioni agevolate allo svolgimento dell’attività istituzionale di tutti quegli enti, la cui riconduzione al terzo settore sia incontestabile.

Verso il riconoscimento del valore sociale come valore economico

Le conclusioni a cui giunge il giudice del TAR Abruzzo sono, ad avviso di chi scrive, del tutto condivisibili e tali da fornire alle autorità pubbliche un’indicazione chiara su come orientarsi nell’applicazione del Codice del terzo settore. Eppure ancora oggi molti pubblici poteri, e in particolare le amministrazioni locali, stentano a riconoscere il valore sociale prodotto dalle associazioni del terzo settore. Si tratta di un valore apparentemente meno evidente, ma anch’esso traducibile in termini economici, che legittima l’applicazione di disposizioni differenziate e più favorevoli in difesa dell’attività svolta, che altrimenti sarebbe destinata a soccombere di fronte a logiche esclusivamente for profit.

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