Cura dei beni comuni e cura delle persone: lo sguardo di genere nell'amministrazione condivisa, in un importante convegno a Bologna

Il 5 maggio 2023 si è tenuto, presso l’Università di Bologna, il seminario “L’amministrazione (e la città) della cura” ospitato dalle docenti della Cattedra Jean Monnet di Bologna, Giorgia Pavani, Stefania Profeti e Claudia Tubertini.
La Presidente dell’Associazione delle Docenti Universitarie, Chiara Alvisi, docente di diritto privato, ha partecipato con l’obiettivo, tra l’altro, di definire la parità di genere come modalità per una nuova distribuzione del potere che trova rafforzamento negli strumenti della sussidiarietà orizzontale; infatti, l’amministrazione condivisa consente alle persone di partecipare all’attività di governo, a partire dalla definizione del bene comune, contribuendo a definire i bisogni collettivi e implementando i progetti. “Nessuno può vantare pretese esclusive”, così nascono nuove soggettività sociali, in grado di tutelare il bene comune, che si affiancano alle autorità e ai soggetti organizzati. La comunità può finanche promuovere azioni di tutela, esercitando il diritto di controllo sulla gestione dei beni comuni per tutelare i propri diritti rispetto ad una pubblica utilità. I diritti sono individuali ma l’azione è collettiva; si tratta della tutela delle pretese collettive, dei legami e dell’utilità sociale, rispetto alla gestione dei beni comuni, una class action civica in riferimento al tertium genus della teoria dei beni.

Sguardo di genere e sussidiarietà orizzontale 

Emily Marion Clancy, Vicesindaca del Comune di Bologna, ha difeso il connubio tra amministrazione condivisa e pari opportunità dei generi, sottolineando il ruolo delle donne per una più equa definizione dei bisogni collettivi, niente affatto neutri rispetto al genere dei cittadini. Sostenere il ruolo della donna nella società giova allo sviluppo della cura, di cui spesso le donne si fanno carico. Secondo la strategia proposta, la valorizzazione del lavoro di cura implica includere le donne nelle strategie di sviluppo e di programmazione per permettere la fuoriuscita dal cono d’ombra di tale lavoro sociale spesso sommerso. Inoltre, ciò che emerge è la necessità di considerare la cura in modo più equo, per un’accessibilità e una distribuzione sostenibile dei carichi di lavoro.
La progettazione e l’implementazione dei servizi si arricchiscono con lo sguardo di genere, anche se ciò comporta ripensare ai modelli di produzione che sono a misura di uomo – “maschio, bianco e mediamente ricco”. Se ne trova riscontro nell’organizzazione dei trasporti, che, infatti, collegano facilmente alcune tratte, tipicamente servono ad attraversare la città in 15 minuti da un punto A (ad es., l’abitazione) ad un punto B (ad es., il lavoro). Mentre, chi si occupa dei servizi di cura trova difficoltà nel dover raggiungere più luoghi nell’arco dello stesso viaggio. La sfida dell’inclusione è considerare la complessità, le esigenze dell’intera società, mediante il farsi sostenibile della città. Sfida che passa per la ricerca scientifica e la raccolta di dati di genere, a sostegno di nuove strategie di contrasto, il c.d. gender gap.

Verso una politica dell’interdipendenza collettiva

Chiara Belingardi, dell’Università di Firenze, ha presentato il lavoro dal titolo “Città, cura e pianificazione urbana con prospettiva di genere”. La relatrice fa emergere il quadro dei limiti dell’attuale progettazione urbanistica: (1). minimizzazione delle esigenze femminili (2). ignoranza delle relazioni di cura (3). sottovalutazione degli spazi di cura della città (4). pregiudizievole e ingannevole valutazione della tecnica quale “neutra” rispetto al genere. A riprova della debolezza del sistema della progettazione urbanistica dei trasporti per chi ha carichi di cura. La città è per lo più pensata per interazioni monodirezionali, per coloro i quali non hanno responsabilità di cura. La complessità che la cura prevede si traduce anche in esigenze di mobilità diverse. Il ragionamento porta a ripensare le relazioni umane; gli esseri umani sono interdipendenti, i loro scambi si traducono in relazioni sociali, la cui interdipendenza deve essere sostenibile: è il concetto emerso dal libro “Urbanismo femminista”, ad opera del collettivo di Barcellona, che propone di mettere a fuoco il tema per ripensare agli spazi pubblici. In tale solco, “Il Manifesto della cura del 2021”, scritto dal collettivo “The Care Collective”, propone una politica dell’interdipendenza collettiva per definire obiettivi e necessità pubbliche.

Un’opportunità per le attività solidali

Claudia Tubertini dell’Università di Bologna ha riflettuto sulle opportunità che l’amministrazione condivisa rappresenta, un metodo che diviene ordinario a Bologna con il Regolamento del 2023 (ultima modifica), e per mezzo della sentenza 131 del 2021 della Corte costituzionale che chiarisce l’opportunità dell’amministrazione condivisa per le attività solidali a sostegno della “cura” dei cittadini. Così, identificando il fine dell’azione di cura con quello dell’accudimento e del sostegno alla vita, innalzando la qualità delle funzioni sociali dell’attività amministrativa. Ciò legittima le pratiche e le modalità terze rispetto al mercato, secondo regole non concorrenziali, in ragione del principio solidaristico previsto dalla Costituzione. Sono queste le finalità che il legislatore riconosce nel 2017, legge n. 117, il Codice del Terzo settore, CTS.
Secondo questo paradigma, l’amministrazione non è più l’unica responsabile nei confronti della società ma attivando le risorse che provengono dalla collettività, anche le forze civiche acquistano responsabilità pubbliche. Quindi, il sistema coinvolge i soggetti di prossimità, i soggetti civici e del terzo settore (più formali e strutturati) assieme agli enti locali, il cui livello è sì il primo deputato, tra gli enti, alla tutela dei beni comuni.

Accesso al cibo e amministrazione condivisa

Su altro versante, Francesca Gori ha parlato di “Sistemi alimentari e cura: nuovi spazi per le politiche urbane del cibo”, dal quale si evince che per “sistema alimentare” si dovrebbe intendere un modello integrato di regole pubbliche per l’eguale accesso al cibo e quindi stabilendo le regole per l’equa distribuzione. Gli strumenti dell’amministrazione condivisa e della governance partecipativa servono alla realizzazione di questi progetti per una migliore capacità conoscitiva, formazione degli attori coinvolti e sensibilizzazione ad un consumo giusto.
Questo uno dei temi sottolineato anche dalla Tavola Rotonda dove è intervenuta Mara Petruzzelli che sostiene la stipulazione di patti di cittadinanza alimentare per consentire di attivare iniziative agroalimentari interconnesse alle esigenze territoriali.

Una nuova modalità di assunzione di responsabilità

Erika Capasso della Fondazione Innovazione Urbana ha sottolineato che “per decidere meglio dobbiamo decidere insieme”. Il modello della regione Emilia-Romagna, quello della l.r. 2/2023, diviene caposaldo per tutti gli obiettivi proposti, in quanto eleva l’amministrazione condivisa a metodo ordinario, secondo cui la partecipazione e il dialogo diventano elementi consustanziali all’organizzazione e alla funzione amministrativa.
Sono molte le dimensioni della cura che emergono dagli strumenti dell’amministrazione condivisa, che puntano sull’attivazione dei cittadini, nuovi responsabili dell’interesse generale, e che implica un nuovo approccio dell’amministrazione.
Lo sviluppo di azioni di governance integrate sembra incontrare gli obiettivi e le pratiche dell’amministrazione della cura, tema a cui si riferisce anche Marilena Pillati.
L’amministrazione condivisa non è quindi “scorciatoia” o via di fuga dalle responsabilità ma una nuova modalità di assunzione nella condivisione. Questo anche il punto di Alceste Santuari che riconosce le nuove sfide che spettano anche al dibattito scientifico: da una parte, garantire maggiori strumenti di accountability e controllo sulla discrezionalità amministrativa nell’ambito della co-progettazione e co-programmazione, e dall’altra ragionare della differenza tra logica contrattualistica, vincolo sinallagmatico, e paradigma dell’amministrazione condivisa, che si realizza con la partecipazione dei cittadini.