Il Patto, oltre che una pluralità  di attori, ha come obiettivo la cura di più beni comuni, tanto materiali quanto immateriali e risulta davvero difficile individuare una tipologia prevalente

adelfia2È un Patto che presenta diversi profili innovativi, diverse chiavi di lettura, ampi spazi di sperimentazione per la sua capacità di incrociare le esigenze della comunità e delle istituzioni e trovare, attraverso azioni condivise, risposte inedite a situazioni complesse.

La vera forza del Patto risiede nella sua capacità di costruire legami, è certamente questa la parola che tiene insieme tutto. Primo fra tutti il legame con la nostra terra, la bella terra rossa di Puglia che non sarà apparsa così bella a Paola Clemente quando, nel 2015, è morta di fatica nei campi, come a tante braccianti che quotidianamente vivono la condizione dello sfruttamento nel lavoro agricolo. Quindi il legame tra le persone, tra pezzi di comunità, tra cittadini e istituzioni, con la certezza che solo insieme alcuni problemi possono essere affrontati, alcune soluzioni possono essere sperimentate.

Un patto plurale e multiattoriale

I soggetti collettivi che hanno sottoscritto il Patto sono tanti e diversi tra loro. Innanzitutto le donne braccianti che, attraverso una loro rappresentanza, hanno partecipato alla stesura del Patto, alla individuazione degli obiettivi specifici da raggiungere e dei beni comuni da tutelare. Tra le varie proposte, da evidenziare quella che ha permesso la costituzione di un piccolo fondo mutualistico per sostenere chi fra loro viva un momento di difficoltà. Quel fondo, più che per la somma raccolta, assume una importanza rilevante perché rappresenta il primo fondamentale passaggio dall’io al noi, traducendo sul piano pratico uno dei principi essenziali dei Patti di Collaborazione.

La disponibilità dell’amministrazione comunale ha permesso, in particolare, di prevedere forme di sperimentazione per l’estensione delle ore di apertura del nido comunale, individuato come uno dei nodi critici principali dalle braccianti. Tale previsione dimostra come sia possibile, attraverso il confronto e la condivisione garantiti dal Patto, incidere sull’attività ordinaria dell’ente locale, sui servizi che ogni pubblica amministrazione dovrebbe garantire.

Le numerose attività previste sono realizzate grazie alla disponibilità delle associazioni che hanno sottoscritto il Patto. Una rete a tutti gli effetti, costruita però non attraverso enunciazioni teoriche o di principio ma attraverso azioni concrete, obiettivi specifici che ognuno si impegna a realizzare in collaborazione con altre realtà associative, a partire dai laboratori organizzati nel campo estivo per i figli delle braccianti tenuto per tutto il mese di agosto nella Masseria della Madonna, a Rutigliano (BA).
Masseria della madonna

Il Patto, oltre che una pluralità di attori, ha come obiettivo la cura di più beni comuni, tanto materiali quanto immateriali e risulta davvero difficile individuare una tipologia prevalente: Il contrasto alle forme di povertà e esclusione sociale, la sperimentazione e l’ampliamento dei servizi pubblici, la cura di spazi pubblici abbandonati attraverso la costruzione del Giardino Condiviso. Le azioni a tutela di ogni singolo bene si intrecciano le une alle altre avendo come principale obiettivo la creazione di solidi legami di comunità.

Ogni buon Patto di Collaborazione dovrebbe prevedere delle ipotesi di sviluppo, delle azioni che consentano alla comunità che si va costruendo intorno ad un bene comune di guardare un po’ più lontano. È in questa prospettiva che vanno letti gli obiettivi legati alla mappatura partecipata degli spazi e degli immobili abbandonati o sottoutilizzati, inclusi quelli sottratti alla criminalità organizzata. La comunità solidale è capace di lavorare di fantasia, di immaginare prima e restituire poi una nuova vita a ciò che sembrava definitivamente compromesso dall’incuria e dall’abbandono. Ecco che la cura dei beni comuni, può diventare la base su cui costruire processi di rigenerazione urbana, partendo dalle persone, dalla comunità responsabile capace di costruire, insieme alle istituzioni, una “visione comune”.

Il Patto di Collaborazione “La Buona Terra: legami di prossimità” è stato sottoscritto prima dell’adozione da parte del Comune di Adelfia del Regolamento sulla cura condivisa dei beni comuni promosso da Labsus, in applicazione diretta dell’articolo 118, comma 4 della Costituzione. Questo, naturalmente, non sminuisce il valore e l’importanza del Regolamento, anzi! La sottoscrizione immediata di un Patto può invece rappresentare, laddove ci siano le condizioni, la sperimentazione ideale del modello di Amministrazione Condivisa evitando che il Regolamento resti sostanzialmente inapplicato dopo la sua adozione.

Giuseppe Cotturri ha definito la politica come “l’attività umana diretta al governo congiunto dei bisogni e delle risorse del pianeta”[1]. La cura dei beni comuni, i Patti di Collaborazione e il modello di Amministrazione Condivisa mi piace pensare siano l’applicazione concreta di quella definizione. Il tentativo di sentirsi responsabili del tutto: prendendoci cura delle persone che incontriamo e degli spazi che attraversiamo.

[1] Mutamenti, culture e soggetti di un pubblico sociale, G. Cotturri, La Meridiana, 1992

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