“Il patrimonio culturale è l'insieme delle risorse ereditate dal passato, che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne abbia la proprietà, come riflesso ed espressione di valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione. Esso comprende tutti gli aspetti dell’ambiente che sono il risultato dell’interazione nel corso del tempo tra le popolazioni e i luoghi” (art. 2 Convenzione di Faro)

Un patrimonio culturale diffuso e trascurato

Quanti luoghi che custodiscono ancora una flebile eco di storia giacciono in stato di abbandono? Quante volte ci imbattiamo in siti archeologici di cui non ne riusciamo neanche a riconoscere l’aspetto perché inghiottiti dalla vegetazione? E ancora, quanti beni immobili sono inaccessibili?
L’Italia è costellata di beni culturali di proprietà pubblica abbandonati e inaccessibili, troppo spesso dimenticati e non compresi dai più: privi di una lettura comprensibile per i non addetti ai lavori, richiedono lo sguardo attento degli specialisti per essere riconosciuti e interpretati.
Nonostante nel 2023 l’Italia abbia confermato il primato nella Lista del Patrimonio mondiale dell’Unesco, registrando 59 siti riconosciuti, la spesa pubblica italiana generale per le funzioni relative ai servizi culturali (che includono la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale) e alla protezione della biodiversità e del paesaggio è inferiore alla media dell’Unione Europea.
Il patrimonio culturale italiano si contraddistingue per la sua ricchezza e anche per il suo carattere diffuso con cui insiste sul territorio nazionale: nella Convenzione di Faro vengono riconosciuti come “patrimonio” non più soltanto i beni di eccezionale valore, ma tutti i luoghi che hanno una valenza storico-culturale e che, grazie ad essa, diventano nucleo di aggregazione.
Come favorire le iniziative di valorizzazione “dal basso”? Come valorizzare tutti quei beni afferenti al nostro patrimonio culturale, lontani dai grandi circuiti turistico-culturali, ma che le comunità considerano come valore imprescindibile?

Le criticità legate al concetto di “valorizzazione”

Grazie alla Convenzione Unesco per la Protezione del Patrimonio Culturale e Naturale Mondiale del 1972 si è iniziato a parlare della nozione di “valorizzazione”, concetto ripreso e ampliato successivamente con la Convenzione di Faro.
In Italia la valorizzazione del patrimonio, pur riconosciuta a livello normativo come funzione pubblica di rilievo costituzionale, sconta numerose criticità.
La normativa vigente, rappresentata principalmente dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (d.lgs. 42/2004), definisce le attività di valorizzazione come l’insieme di risorse, strutture e competenze finalizzate allo sviluppo della cultura; a tali attività possono concorrere, cooperare o partecipare soggetti privati (art.111, d.lgs. 42/2004).
Tuttavia, manca una disciplina organica della funzione di gestione, rendendo difficile la concreta attuazione dei principi normativi in materia di valorizzazione.
Un altro aspetto che vale la pena sottolineare è rappresentato dalla frammentazione tra attività di valorizzazione ad iniziativa pubblica e privata. La valorizzazione ad iniziativa pubblica deve rispettare principi come la partecipazione, la trasparenza e la continuità, mentre quella privata è riconosciuta come attività di solidarietà sociale. Questa separazione netta limita le possibilità di collaborazione efficace tra i diversi attori coinvolti.
Inoltre, rispetto alle attività di valorizzazione, il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (art. 115, d.lgs. 42/2004) opera una distinzione tra quella diretta, svolta per mezzo di strutture organizzative interne alle amministrazioni, e quella indiretta tramite concessioni a terzi ovvero mediante l’affidamento di appalti pubblici di servizi o in forma congiunta pubblico/privata.
Si osserva come spesso la gestione diretta richiede una qualità di strutture che la devono sostenere che non rispecchia la prevalenza dei luoghi culturali pubblici.

Le sfide delle amministrazioni in materia di beni culturali

Il confronto con le amministrazioni e con gli enti territoriali che si occupano di patrimonio pubblico culturale fa emergere spesso una visione poco dinamica, incardinata in principi e strumenti tradizionali e poco innovativi. Una visione spesso limitata.
Si osserva quindi un disallineamento tra gli strumenti giuridici disponibili e ciò che servirebbe, ovvero generare valore sociale e culturale per le comunità locali.
Negli ultimi anni si è assistito al fallimento di numerose esperienze fondate sulle concessioni di valorizzazione (L. n. 410/2001), spesso incentrate sulla mera convenienza economica per i soggetti privati. Tali approcci, dove l’interesse pubblico è rappresentato solo dai soggetti pubblici e i privati incarnano coloro che devono riceverne un esclusivo vantaggio economico, risultano inadeguati di fronte alla complessità delle sfide odierne. 

La prospettiva dell’amministrazione condivisa 

Emerge dunque la necessità di superare questo schema e di adottare modelli di cooperazione innovativi e più inclusivi.
La ricerca di modelli cooperativi funzionali rappresenta una delle questioni centrali in tema di valorizzazione del patrimonio culturale. Una ricerca non solo di modelli, ma anche di prospettive diverse concretizzabili nel processo di cambiamento del paradigma della funzione di valorizzazione del patrimonio culturale pubblico.
Negli ultimi anni qualcosa sta cambiando e la prospettiva di nuovi concetti nel panorama giuridico come quello dell’amministrazione condivisa si sta facendo strada in vari ambiti dei “beni comuni”.
I beni culturali patrimoniali sono beni comuni: sono beni materiali o immateriali riconosciuti come tali da una comunità, che li considera fondamentali per il benessere individuale e collettivo, per l’esercizio dei diritti fondamentali e per le generazioni future. Quindi i beni culturali, in quanto beni comuni, possono essere oggetto di una cura collettiva da parte delle comunità e la Convenzione di Faro, pur ratificata tardivamente in Italia, ha rafforzato questa visione: oltre ad avere dato forma e voce al concetto di “comunità di patrimonio”, ha fatto emergere l’importanza del “valore culturale intrinseco” del patrimonio.
E proprio le esperienze di amministrazione condivisa per la gestione e la valorizzazione del patrimonio culturale mettono al centro i due concetti sopra richiamati, comunità e valore culturale, mostrando come il recupero degli spazi culturali possa diventare motore di rigenerazione urbana e innovazione sociale, generando benefici concreti per le comunità locali.
Nelle ipotesi di amministrazione condivisa il recupero e la valorizzazione sono funzionali al progetto da realizzare diventando l’oggetto della collaborazione per la sua restituzione alla collettività e individuando una relazione tra rigenerazione e innovazione sociale che innesca cambiamenti significativi nei processi delle comunità. 

La centralità delle azioni di cura mediante i patti di collaborazione

Tra gli strumenti per la valorizzazione e la rigenerazione del patrimonio culturale, il patto di collaborazione, in virtù del significativo ricorso da parte delle amministrazioni comunali, ha ampliato l’ambito di applicazione: inizialmente ipotizzato per la gestione e la cura di spazi comuni degradati e aree verdi, ha progressivamente riguardato progetti più complessi per il recupero di beni immobili a carattere culturale, spesso tutelati dalle Soprintendenze.
Ne emerge con forza una funzione rigenerativa di questo strumento, a beneficio della collettività.
Spesso, infatti, i patti di collaborazione per la cura del patrimonio culturale nascono da sentimenti empatici, da un legame affettivo, dall’esigenza di volersi “prendere cura” per l’appunto di quel bene, con il fine di valorizzarlo e, di conseguenza, di renderlo accessibile a tutti.
La valorizzazione del patrimonio culturale non può essere soltanto conoscenza scientifica, fondata sull’esclusività di competenze specifiche, ma deve aprirsi ad una visione più ampia che includa le comunità stesse. Infatti, se ci pensiamo, l’azione di valorizzazione di un bene è efficace quando lo stesso è riconosciuto e sentito come “patrimonio” dai cittadini e, proprio perché vi sia quel riconoscimento di valore, senza il quale conservare e tutelare diventano operazioni più difficili e spesso sterili, il dialogo con le comunità è fondamentale.

Valore del patrimonio e benessere socio-culturale

L’amministrazione condivisa, favorendo la centralità degli aspetti di cura, di “presa in carico” dei beni per finalità di interesse generale, esalta il valore generativo in termini positivi di impatto socioculturale. Inoltre, la collaborazione su un piano paritario tra amministrazioni e cittadini permette di superare la logica tradizionale di separazione nel campo dell’azione di cui si richiamava sopra: infatti, il soggetto pubblico che rimane proprietario del bene e il soggetto privato che si fa carico della valorizzazione di quel bene, co-progettano azioni sinergiche. La cooperazione tra pubblico e privato non è quindi da intendersi come “affidamento” al privato di attività di competenza della pubblica amministrazione (come avviene per l’esternalizzazione delle attività di valorizzazione) bensì come il risultato della volontà espressa dall’amministrazione o dai cittadini di condividere lo svolgimento di attività di interesse generale. Un modello che segue le logiche alternative a quelle del mercato.
Un altro aspetto fondamentale legato alla prospettiva dell’amministrazione condivisa è che essa, in qualità del suo carattere dinamico e flessibile, favorisce l’apertura al contesto territoriale attraverso la partecipazione culturale delle comunità ai processi di riappropriazione del patrimonio culturale. Un processo di riappropriazione sempre più fondato sul valore riconosciuto, connesso ad un rapporto di osmosi tra popolazione e luoghi, proprio come richiamato nella Convenzione di Faro, che porta ad una dimensione di benessere sociale. 

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